Mentre è in partenza su Rete 4 la nuova edizione, noi “interroghiamo” i conduttori
La squadra di “Quarto grado” torna a indagare, ad approfondire e a ragionare. Sui casi purtroppo ancora aperti e su quelli che la cronaca fatalmente ci consegnerà. L’appuntamento con la nuova stagione della trasmissione che ci porta, diciamo così, “dietro le quinte” della cronaca nera è per venerdì 15 settembre, in prima serata, su Rete 4. Alla guida del team di giornalisti investigativi e a coordinare collaboratori ed esperti sarà ancora Gianluigi Nuzzi, che al suo fianco avrà Alessandra Viero. Una collaborazione, la loro, che quest’anno festeggia il decimo “compleanno” (per Nuzzi, però, è l’11a edizione). «Con Alessandra c’è un “matrimonio” perfetto, fatto di grande professionismo, rispetto reciproco e anche indipendenza» dice Gianluigi. «Lui è il mio “partner in crime”, il mio “complice”» gli fa eco lei. «Siamo rodati e affiatati: a volte ci capiamo con uno sguardo».
Su quali “scene del crimine” torneremo fin dalla prima puntata?
Nuzzi: «Per cominciare ripartiremo dalla conferma di un gruppo di lavoro e di scelte di contenuto che hanno dato grandi risultati. Tra i casi che vorremmo affrontare subito citerei le morti di Liliana “Lilli” Resinovich e di Saman Abbas, e la scomparsa della piccola Kataleya Alvarez Chicclo a Firenze».
Viero: «Il caso di Kata, in particolare, grida giustizia: come può essere sparita senza che nessuno in quel palazzo (che forse sarebbe meglio chiamare “girone infernale”) abbia visto nulla? Perché si è tollerata per mesi quella “zona franca” in cui avveniva di tutto? Kata non lo meritava. Anzi, non lo merita: voglio pensare che ci sia ancora speranza».
Gianluigi, quali sono i “segnali” che le fanno capire che un delitto diventerà interessante per “Quarto grado”?
Nuzzi: «Ci deve essere forte contraddittorietà tra gli elementi del caso. Poi è importante quanto i protagonisti in qualche modo ci assomiglino nella loro quotidianità: magari hanno genitori, fratelli, sorelle che ci ricordano i nostri. Poi conta il fatto che ci sia qualcosa di particolare che definisca l’identità dei protagonisti».
Alessandra, quando considera un caso come sente che c’è puzza di bugia o di “mezza” verità?
Viero: «Di solito chi mente infarcisce il racconto di dettagli inutili, banali, di digressioni non richieste. Gli studiosi (il mio amico criminologo Massimo Picozzi, per esempio) la chiamano “erotizzazione del dettaglio”».
Se poteste invitare in squadra un grande investigatore della letteratura o del cinema, chi chiamereste?
Nuzzi: «Hercule Poirot di Agatha Christie, uno di quegli investigatori che da una parte sono affabili e dall’altra incutono timore, che possono venire sottovalutati e far cadere le difese del colpevole».
Viero: «Jessica Fletcher! Di “La signora in giallo” mi appassionava già la sigla. Attenta ai dettagli, con la sua empatia Jessica riusciva a entrare in possesso di tante informazioni fondamentali».
Fuori dagli scherzi, Alessandra, da qualche anno abbiamo dovuto inserire nel vocabolario, una parola terribile: “femminicidio”. Perché non basta più parlare di omicidio?
Viero: «Perché è un’emergenza che non riguarda solo la cronaca: è un’emergenza anche culturale. Io sono favorevole a introdurre nella scuola l’educazione affettiva. Il rispetto per gli altri, per le donne, l’amore e non il possesso, vanno insegnati in famiglia e in aula».
Gianluigi, si sente più un cacciatore di verità o di giustizia?
Nuzzi: «Sono due risultati di uno stesso campionato, e la giustizia è lo Scudetto. La verità, invece, è al secondo posto, perché a volte riesci a farla trionfare, ma comunque non arriverà giustizia per questioni che non dipendono da te. Per fortuna m’è capitato spesso che i magistrati abbiano preso in considerazione inchieste mie o di “Quarto grado” per promuovere indagini e arrivare a condanne. Quando leggi in una sentenza che il contributo di “Quarto grado” è stato determinante, hai il piacere di vedere riconosciuto il lavoro dell’inviato».
“Quarto grado” vi mette a contatto con realtà terribili. Come fate a mantenere la vostra umanità, a non cadere nel cinismo?
Nuzzi: «C’è una bella differenza tra avere il “pelo sullo stomaco”, essere indifferenti, e sapere tenere la giusta distanza dalle questioni. Io “vivo” ogni storia, ma da sempre cerco di tenermi a giusta distanza. Poi ti accorgi che ci sono storie che ti coinvolgono di più e per tutta la vita: penso a Emanuela Orlandi, a certe questioni del Vaticano di cui ho parlato nei miei libri… Ma mi rimane nel cuore anche una storia come quella di Stefania Crotti, uccisa a Gorlago (BG) nel 2019 dalla ex spasimante di suo marito Stefano Del Bello. Lui mi ha scritto tempo fa: si è ritrovato vedovo e sta crescendo da solo la loro bambina. Passata la cronaca, rimane la tragedia, insomma, ed è giusto che certe storie ti rimangano dentro se vivi con passione questo mestiere. Io poi ho una vita privata che mi “nutre” e mi dà equilibrio».
Viero: «In generale, provi a essere lucida per raccontare al meglio, ma è certo che i casi ti restano dentro, e alcuni più di altri. Quelli che riguardano i bambini, poi, sono difficilissimi: da mamma mi vengono le lacrime agli occhi, mi fanno orrore… La verità è che dopo dieci anni di “Quarto grado” sono diventata più ansiosa anche nel privato. Forse era un tratto che già avevo e affrontare certi casi lo ha riportato a galla… Quando mi succede, respiro e cerco di concentrarmi sulle cose belle».