Lo scrittore conduce il nuovo programma di Rai3, il lunedì in seconda serata

Ha una regola personale: «Non accetto più inviti nei talk show con troppi ospiti: finisce che la parola passa continuamente dall’uno all’altro “per tenere alto il ritmo” e non si riesce ad approfondire davvero nessun concetto». Con queste premesse, non stupisce che Gianrico Carofiglio abbia ideato e creato “Dilemmi”, il programma (in onda il lunedì in seconda serata su Rai3) dove a discutere di temi spinosi sono solo due persone, entrambe esperte della materia.
E non finisce qui: «Ogni dibattito deve rispettare regole precise. Primo: vietato attaccare la persona anziché i suoi ragionamenti. Secondo: vietato manipolare gli argomenti dell’altro, mettendogli in bocca quello che non pensa davvero; e soprattutto (terzo) è obbligatorio fornire le prove delle proprie affermazioni».
Carofiglio, vuole creare un nuovo genere di talk show? Educato, senza risse?
«Il conflitto è normale e anche utile, ma va regolato. Come nello sport. Mi ispiro al karate, che pratico: lo scontro c’è, ma deve seguire delle regole. L’obiettivo non è la rissa, ma imparare qualcosa».
Molti suoi romanzi sono arrivati in tv attraverso film e fiction. In quei casi come si comporta?
«Mi piace lasciare agli autori e ai registi molta libertà: intervengo solo se sento che viene tradito lo spirito del libro. Ma accade raramente. Adesso sto seguendo l’adattamento di un film internazionale, a cui tengo molto, tratto dal romanzo “Le tre del mattino”. Ma non posso dirle di più perché il contratto impone il segreto».
Intanto il suo ultimo libro, “Rancore”, è in cima a tutte le classifiche. Come è nato?
«È il secondo romanzo che ha per protagonista l’ex pm Penelope Spada. Il precedente, “La disciplina di Penelope”, era una sorta di prologo. Qui ho potuto spaziare e affrontare il tema della colpa e della redenzione. È un’indagine sull’anima».
I suoi personaggi più celebri sono l’avvocato Guerrieri e il maresciallo Fenoglio. Come sono nati?
«Volevo raccontare le indagini da un punto diverso dal mio, che sono un ex magistrato. Trovo che questo cambio di punto di vista renda tutto più interessante. Faccio lo stesso quando mi ispiro a chi mi sta simpatico per creare un personaggio negativo, e a chi non sopporto per i “buoni”. È un trucco che mi costringe a dare profondità e sfaccettature ai caratteri».
Ma c’è qualcosa in cui i suoi personaggi le somigliano?
«Di Guerrieri vivo lo stesso conflitto di fondo: quello tra una ritrosia, o addirittura pigrizia, che suggerisce un “lascia perdere, evita il conflitto”, e un senso del dovere e della giustizia che invece si oppone e dice: “No, vai, fallo”. La sua competenza in fatto di musica e pugilato, invece, è grandemente superiore alla mia».
La cosa più bella che le ha detto un lettore?
«Spesso mi scrivono: “L’ho letto tutto in un giorno e mezzo”. Mi fa felice ma mi dispiace anche: la troppa velocità impedisce di vedere nelle pieghe. Per cui scelgo un giudizio che diede l’editore Gian Arturo Ferrari: “I libri di Carofiglio sembrano luoghi tranquilli e sicuri. Poi si apre una botola e precipiti”. Le botole sono le mie digressioni, credo».
Quando scrive ha già in mente tutta la saga?
«Per carità. Mai. Quando ho cominciato a scrivere “Testimone inconsapevole”, il mio primo romanzo, mi chiedevo se l’avrei mai finito, e nel caso se sarei riuscito a pubblicarlo. Figuriamoci se pensavo a un seguito... Poi me lo chiese Elvira Sellerio e al mio primo rifiuto disse: “Ci pensi bene, sarebbe un grave errore”. Il tono era amabilmente intimidatorio. Con una battuta dissi che “da magistrato, arrestavo per estorsione per molto meno”».
Già, lei è un ex magistrato. Inevitabile chiederle: questo l’aiuta nello scrivere un giallo?
«Sì, perché bisogna sempre scrivere di cose che si conoscono bene. Io non sopporto di trovare inesattezze nei libri o nei film. Ma non per spocchia: è che poi non riesco più a credere al racconto. Pochi giorni fa ho letto un brano in cui si parlava di una missione di uomini “con la divisa della Volante”. Ho messo giù il libro e non l’ho più riaperto. Durante le indagini, gli agenti della Volante non mettono mai la divisa».