Giorgio Porrà presenta “Gilles Villeneuve – Il canadese volante”

Visibile on demand in versione extra long dal 5 maggio, su Sky Sport F1 dalle 19 del 6 maggio e in streaming su Now

5 Maggio 2022 alle 16:01

Sono passati quarant’anni dal quel tragico 8 maggio 1982 quando, a pochi minuti dal termine delle qualifiche per il Gran Premio del Belgio di Formula 1, sul circuito di Zolder perdeva la vita in un tragico incidente Gilles Villenueve. A soli 32 anni se ne andava uno dei piloti più talentuosi di sempre e per l’occasione Sky vuole ricordarlo con l’ultimo episodio della produzione originale “L’uomo della domenica – Discorso su due piedi” dal titolo “Gilles Villeneuve – Il canadese volante”, visibile on demand in versione extra long dal 5 maggio, su Sky Sport F1 dalle 19 del 6 maggio e in streaming su Now. A svelarci qualche dettaglio in più è Giorgio Porrà, conduttore e ideatore del programma.

Una testimonianza e in tributo a un grande pilota.
«Non potrebbe essere diversamente. Anche dopo quarant’anni è doveroso poter tracciare un ricordo perché credo che nessun’altro sia stato tanto amato e rimpianto vincendo così poco. Riflettendo sull’enormità del suo potenziale. Questa è la sua grande anomalia che affascina. In Formula 1 ha corso dal 1977 al 1982 vincendo solo sei Gran Premi. E questo la dice lunga sulla febbre che continua a divampare anche nelle nuove generazioni, quelle che non l’hanno mai visto e apprezzato».

Quali possono essere i motivi di questa febbre?
«Io credo che questo succeda perché c’era qualcosa di non riproducibile nel suo modo di stare al mondo e, naturalmente, anche in pista. Qualcosa che emanava e continua a emanare un fascino irresistibile. Sia legato all’uomo che al pilota. E quindi questo sporgersi costantemente oltre il limite, il disprezzo per la mediocrità, le mezze misure. E poi questo fiuto quasi selvaggio nel trovare il precipizio più estremo sul quale cimentarsi. Lui era un acrobata che insisteva nell’esibirsi sul filo. Quando saliva sul podio sembrava distratto, quasi annoiato, come se certe cerimonie fossero un impiccio, catene dalle quali liberarsi alla svelta, per andare a correre. Per lui aveva poca importanza quella corona d’alloro, per lui l’importante era sentire il profumo del suo coraggio in azione».

Un azzardo di Enzo Ferrari che ha visto in lui il figlio Dino affetto dalla distrofia muscolare e scomparso a soli 24 anni.
«Esatto, ma il Drake rivedeva anche Tazio Nuvolari e questo è un altro elemento che andiamo a raccontare nella puntata. Quando gli presentarono questo canadese che aveva disputato un solo GP in McLaren, che aveva fatto l’apprendistato sulle motoslitte, sulle quali peraltro diventò campione, lui vide subito il nuovo “mantovano volante”, come Tazio era stato soprannominato da Gabriele D’Annunzio. Perché Ferrari amava i cavalieri del rischio, quelli sempre in bilico fra gloria e disastro. E quindi certamente Gilles è stato il pilota più amato da chi detestava quelli “computerizzati”».

Un Gilles uomo e pilota raccontato anche di chi gli è stato vicino.
«Come tradizione del programma. Nella puntata abbiamo sentito Pietro Corradini, il meccanico che è stato sempre in pista nei momenti cult della carriera di Gilles, poi Dario Calzavara, ex team manager della Ferrari. Poi colleghi che lavorano con noi come Leo Turrini e Umberto Zapelloni. Abbiamo incontrato anche Jonathan Giacobazzi, oggi executive manager del team Ferrari di F1, ma che allora era il figlio del principale sponsor di Gilles Villeneuve. Jonathan ha un meraviglioso museo con tanti pezzi che riguardano il mondo del canadese, come il famoso cerchione che si rovinò nell’infinito ed estenuante duello con Renè Arnoux nel 1981 a Digione, la tuta che indossava a Zolder quando perse la vita. Ed è uno che ha vissuto Gilles filtrandolo allora con gli occhi di un bambino. Poi abbiamo anche la moglie di Gilles, Joanna, in una testimonianza estratta da un documentario in preparazione che vedremo più avanti su Sky Documentaries dove si parlerà anche di Didier Pironi. Oltre al figlio Jacques, che è stato anche un pilota di Formula 1».

Gilles Villeneuve, la moglie Joanna e i figli Jacques e Melanie al GP di Monza del 1978

A proposito, l’ultimo figlio di Jacques, nato lo scorso gennaio, si chiama Gilles.
«La dinastia continua ma quella vicenda, anche dal punto di vista privato, intimo, è molto delicata e interessante, perché c’è sempre stato un rapporto conflittuale tra i due. Nei primi anni della sua carriera, quando i giornalisti chiedevano a Jacques di ricordare il padre lui non ne voleva sapere, cercava di sfilarsi dall’ombra paterna e di conquistare una sua identità. E infatti ha cominciato a parlare del padre quando è diventato campione del mondo con la Williams nel 1997. Insomma, questo figlio, che è arrivato adesso e che ha chiamato Gilles è il quinto, quindi ha avuto bisogno di un po’ di tempo per elaborare quel lutto, quel distacco e nella puntata ricorda il padre anche in maniera piuttosto sferzante e dal punto di vista mio inaspettato».

In che senso?
«Lui spiega che Gilles non era esattamente quel padre di famiglia che veniva raccontato all’esterno. In realtà era quasi dominato, soggiogato dai suoi giocattoli, l’off-shore, le auto sportive, l’elicottero. A un certo punto dall’ambito familiare si è un po’ sfilato, è rimasto quasi sequestrato da questo demone della velocità e ai figli non ha dedicato tutto questo tempo. E il fatto che abbia chiamato Gilles l’ultimo figlio significa che praticamente questa ferita è stata in un certo senso ricucita».

Nei confronti di un padre sempre a caccia della competizione.
«E amatissimo dal popolo ferrarista che si entusiasmava per come trattava la monoposto. Anche se Corradini dice di fare attenzione a dipingerlo come il principe della distruzione delle vetture, sottolineando che c’erano altri piloti che si erano comportati allo stesso modo. E che comunque diverse volte si erano verificate delle rotture meccaniche. Però Gilles aveva questa adrenalina che lo teneva prigioniero e il mezzo faceva poca differenza».

Insomma, un pilota che aveva del carisma da vendere.
«Beh, non aveva di certo il fascino mediatico di un James Hunt, l’umorismo di Nelson Piquet e neanche l’intelligenza, come dire, “abrasiva”, di un Niki Lauda. Però le folle le conquistava e questa febbre che c’era allora, ce la portiamo ancora adesso e se ci pensi è una cosa strana. Certo, c’è il fascino legato, come dire, al mito che muore giovane, però lui non era neanche un maledetto, c’è una cosa che mi ha sempre colpito. Questo sdoppiamento tra il pilota in pista che faceva cose folli, questa spettacolare follia esibita ovunque su qualunque tracciato e il pilota fuori dai circuiti. Un ragazzo timido, a volte ingenuo, con quei sorrisi appena accennati, con un sacco di debolezze, come quella di condonarsi sempre due anni rispetto alla vera età perché convinto di essere troppo vecchio per la Formula 1. Essere alto solo un metro e 68 lo faceva arrabbiare, aveva paura di perdere i capelli. Infatti, ogni volta che si toglieva il casco era subito pronto a mettersi a posto il ciuffo, una specie di coperta di Linus. Anche questo ha contribuito a fare di Gilles Villeneuve qualcosa di mitologico nonostante quei 6 gran premi vinti in Formula 1».

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