Abbiamo intervistato tre protagonisti dello show di Italia 1 che ci raccontano i segreti delle loro inchieste
Gaetano Pecoraro, Veronica Ruggeri e Gaston Zama. Preparano servizi sfidando pericoli e minacce. Ma fanno il lavoro che sognavano, infatti si dimenticano della paura.
I segreti delle loro inchieste
Gaetano Pecoraro: «Rifiutai due volte, la terza mi proposi io»
Come sei diventato una “iena”?
«Dopo tantissima gavetta nel mondo del giornalismo».
Prima cosa avevi fatto?
«Ho iniziato a Telejato, un’emittente di Corleone (PA), poi ho fatto un master di giornalismo a Milano, collaborando con vari giornali e con La7».
Sognavi di fare il giornalista?
«A 18 anni studiavo Lettere a Roma. Un giorno mi presentai a “La Repubblica” con qualche articoletto del giornale del liceo. Un caporedattore mi ascoltò e mi disse: “Mi permetto di consigliarti di finire l’università o di fare una scuola di giornalismo, e poi ci rivediamo”».
“Le iene” come sono arrivate?
«Lavoravo a “Piazza pulita” su La7. Davide Parenti mi contattò e mi propose di passare a “Le iene”. Per due volte. E due volte rifiutai».
Alla terza hai accettato?
«La terza volta lo cercai io. Mi sentivo più sicuro di me e mi piaceva l’idea di proporre un linguaggio giornalistico all’interno di un programma popolare».
Qual è stata la prima inchiesta da “iena”?
«A Bodrum, in Turchia. Sulla spiaggia incontrai un siriano che si stava allenando per traversare a nuoto lo stretto fra la Turchia e l’isola greca di Kos. Al telefono Davide Parenti mi disse: “Dobbiamo aiutarlo!”. Comprammo un barchino a remi: il siriano nuotava, noi lo seguivamo e ogni tanto lo tiravamo su».
Ti sei mai sentito in pericolo?
«Una volta, mentre ero in un quartiere di Buenos Aires dove si produceva una droga potentissima. Un prete ci aveva aiutato a infiltrarci. La terza notte, mentre stavamo filmando, arrivò uno dei boss e ci avvisò che ci stavano per rapire. Siamo fuggiti. Lì ti ammazzavano per un paio di scarpe!».
Rinunce fatte per il lavoro?
«Chiaramente il tempo per mio figlio e la mia compagna, a volte sto via intere settimane. Però questa è l’esperienza di lavoro più bella mai fatta: “Le iene” sono il posto dove mi sento più felice».
Se non fossi arrivato a “Le iene” saresti...
«A fare le arancine: amo lo street food siciliano».
Veronica Ruggeri: «Iniziai con un incidente d’auto»
Prima di arrivare a “Le iene” che cosa facevi?
«Studiavo Economia e marketing all’università, ma la mia passione, il mio sogno sin da bambina era quello di entrare nell’Arma dei Carabinieri».
E “Le iene” cosa c’entrano?
«A 21 anni mi avevano chiamato a presentare uno spettacolo di comici in Emilia, quella sera tra il pubblico c’era un ex autore di “Le iene”, mi chiese se volevo fare un colloquio».
Come mai te lo propose?
«Non ne avevo la minima idea. In seguito l’autore con cui feci il colloquio mi disse che si vedeva che avevo molta grinta. Comunque per un bel po’ ho fatto la gavetta: sono stata a leggere il giornale su una sedia e a capire cosa significasse fare la “iena”, come preparare un servizio».
Il programma lo seguivi?
«Era uno dei pochi che guardavo in tv, mi piacevano soprattutto i servizi dove c’erano delle indagini, delle ricerche da fare, era la parte che mi appassionava di più».
Il tuo primo servizio da “iena”?
«Nel 2014. Ho iniziato con una telecamera nascosta, da sola. Ripensandoci adesso, forse ero molto incosciente. Mi sono proposta per andare da un usuraio fingendo di avere una mia attività. Ero talmente in ansia che, durante una manovra, ho fatto un incidente con l’auto nel parcheggio».
La tua prima inchiesta?
«Una serie di servizi su Sveva Cardinale, in arte Paola Catanzaro, una donna che faceva strane cerimonie e dicendo di avere dei superpoteri plagiava le persone. Alla fine è stata arrestata».
Ti sei mai sentita in pericolo?
«No, mai. In alcune situazioni mi sono agitata, però in quei momenti neanche ci pensi al pericolo: fai quello che devi fare, sei talmente presa e non pensi alla sberla che ti potrebbe arrivare».
Dove ti vedi tra dieci anni?
«Spero di essere mamma, sul lavoro non so. Non faccio mai troppi piani. Due anni fa non pensavo neanche di arrivare a condurre. Ora invece, dopo averlo fatto, so che la conduzione mi piace e mi diverte. Ma c’è tanto da imparare».
Se non fossi arrivata a “Le iene” oggi saresti...
«Non riesco a immaginarmi laureata in Economia e dietro a una scrivania. Oggi sono contenta così».
Gaston Zama: «Per caso, a Miami, ho trovato la mia missione»
Gaston Zama è il tuo vero nome?
«In realtà mi chiamo Giorgio Romiti. Nel 2013 stavo imbastendo uno scherzo a un gruppo di estrema destra quando ho cominciato a ricevere minacce su Facebook. Da lì ho cambiato nome. Gaston era il mio soprannome alle medie, Zama alle superiori».
Come sei diventato una “iena”?
«Sono qui da oltre dieci anni. Nel primo periodo sono stato un autore puro e lavoravo con gli inviati. Da un po’ di stagioni sono inviato, ma non in video, sono una “iena” in voce».
Come mai solo in voce?
«Mi viene naturale stare dietro la camera quando intervisto qualcuno piuttosto che stargli accanto».
A “Le iene” come sei arrivato?
«Lavoravo con Pif a “Il testimone” su Mtv. A forza di pressarlo con le idee che mi venivano, mi ha fatto incontrare Davide Parenti. Le mie proposte sono piaciute».
Da autore a inviato: cosa è cambiato?
«Ora gestisco a 360° il servizio: sono filmaker, montatore e regista. Ammetto, però, che a volte soffro di solitudine».
Il tuo primo servizio da inviato?
«Nel 2015, a casa di Antonio Calò, un professore di liceo che abita vicino a Treviso: aveva accolto nella sua abitazione sette ragazzi migranti africani. Il presidente Sergio Mattarella lo nominò Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica».
L’inchiesta su Chico Forti (condannato negli Stati Uniti per omicidio) come è nata?
«Ero rimasto bloccato in Venezuela da un blackout, tutti i voli annullati. Dopo dieci giorni trovo un volo che fa 20 ore di scalo a Miami e lì mi presentano Roberto Fodde, l’amico di Chico Forti che mi racconta tutta la storia. Gli ho chiesto di procurarmi la documentazione per approfondire e mi sono studiato il processo».
L’inchiesta che non hai ancora fatto?
«Quella sul riscaldamento globale, sono già stato in Amazzonia e Australia... Ma poi il caso di Chico Forti mi ha impegnato completamente».