Torna alla guida dell’amatissimo show di Rai1: «È un programma pieno di allegria e quest’anno durerà fino a dicembre!»
Che siate appassionati della lingua italiana, esperti di giochi enigmistici, aspiranti tali o semplicemente desiderosi di mettervi alla prova con titoli di film, proverbi, aforismi e dintorni, preparatevi: lunedì 19 giugno torna “Reazione a catena”, il preserale dedicato alle parole che segna l’arrivo dell’estate su Rai1. Stavolta, però, il programma si allungherà ben oltre l’inizio dell’autunno, visto che andrà in onda fino alla metà di dicembre: «Già lo scorso anno era durato cinque mesi. Adesso sono diventati sei. Evidentemente la Rai sente che il programma può dare di più» commenta Marco Liorni che, con questa quinta edizione, ne diventa il conduttore più longevo. «Però, per piacere, non dite che il successo è merito mio».
Possiamo anche non dirlo ma è innegabile che la sua conduzione funziona. Non a caso è stato nuovamente riconfermato.
«Il successo di “Reazione a catena” è merito di “Reazione a catena”. Io cerco solo di non rovinarlo (ride), limitandomi a esaltare i motivi per cui la gente lo guarda».
Quali sono?
«La creatività, innanzitutto. Anche se non ce ne accorgiamo, ogni parola evoca qualcosa a ciascuno di noi e associarle tra loro è un lavoro che ci fa sentire liberi e ci fa stare bene. Poi ci sono i tempi del gioco, i suoi suoni, i suoi colori, la tensione della gara, il premio finale, le storie dei concorrenti e la psicologia del gruppo: vedere persone che si aiutano è piacevole. Insomma, “Reazione a catena” è una macchina gioiosa che funziona alla perfezione e che, come un’automobile ibrida, ha un motore ecologico che si autoalimenta. In tutto questo il mio compito è quello di far stare bene i concorrenti in studio e dietro le quinte».
Nella nuova edizione ci saranno novità?
«Avremo un gioco nuovo, “Quattro per una”, quattro modi diversi per arrivare alla stessa parola. Le faccio un esempio: se dico che ha due pollici e due indici, fa rima nelle canzoni, è chiuso in una gabbia e ce l’ha anche il carciofo... La parola giusta è cuore».
“Reazione a catena” ha attraversato la pandemia. Ha notato delle differenze tra i concorrenti prima e dopo il Covid?
«Buona parte dei concorrenti è formata da universitari che durante la pandemia hanno continuato a studiare e non si sono fermati. In generale abbiamo osservato una fortissima capacità di resilienza. Le differenze maggiori c’erano l’anno scorso, quando eravamo ancora in piena sindrome post traumatica. Ora vediamo solo qualche comportamento residuo. Ce l’ho io stesso, le faccio un esempio: l’altro giorno, alla fine della registrazione della puntata sono andato a complimentarmi con i vincitori. Invece di battere il cinque, come avrei dovuto fare, ho battuto il pugno, come facevamo ai tempi della pandemia».
Dopo la quinta estate senza sosta, e senza vacanze, a settembre tornerà su Rai1 anche con “ItaliaSì!”.
«Qualche giorno di vacanza in realtà quest’estate riuscirò a prendermelo perché “Reazione a catena” non è in diretta e spesso registriamo più puntate in un giorno. E poi a settembre tornerò con “ItaliaSì!”. Anche in questo caso stiamo lavorando con gli autori perché qualche novità è necessario introdurla».
Il titolo del programma rimanda a una canzone di Elio e le Storie Tese che faceva “Italia sì, Italia no…”. Qual è la sua “Italia sì”?
«Quella dei ragazzi che hanno una velocità di pensiero e di azione decisamente maggiore della nostra. È vero, e lo vedo anche con i miei figli, che corrono il rischio di essere risucchiati dagli smartphone. Però, quando avevo io la loro età, ho visto miei coetanei risucchiati da cose ben peggiori, trovavamo siringhe ovunque. Dovrebbero solo rallentare un po’ perché i cambiamenti continui e la proiezione di se stessi sui social generano inevitabilmente ansia. Poi dico “sì” anche alla terza età, che oggi è molto diversa da ciò che era anche solo 15 anni fa: la tecnologia permette ai non più giovanissimi di vivere con partecipazione, mantenendo il cervello attivo. Infine un “sì” anche alla consapevolezza che ormai abbiamo tutti che il rinnovamento del nostro Paese non può più attendere, altrimenti andremo in frantumi».
C’è anche una “Italia no”?
«Quella delle rendite di posizione, delle incrostazioni, della iperburocrazia. È quella che va demolita, in caso contrario ci giochiamo il futuro».
A proposito di futuro: lei va in onda ininterrottamente tutto l’anno, ha mai paura di una sovraesposizione?
«Qualche volta, ma penso che l’importante sia lavorare bene. E, comunque, la gente guarda i programmi, non i conduttori».
Quindi lei è uno dei volti televisivi più amati... suo malgrado?
«C’è del vero in questo (ride). La realtà è che io sono come mi vedono e questo aiuta. La televisione è talmente pervasiva che, se non sei come appari, alla fine ne va della tua salute mentale. Certo, questo qualcosa ti toglie: quando non sgomiti, non entri nelle polemiche e non ti presti al gossip, finisci meno sui giornali. Però io sono fatto così. Non me ne importa niente di agitarmi per fare cose diverse da quelle che faccio, ho trovato il mio equilibrio».
Anche questa è una forma di saggezza.
«No, penso piuttosto che dipenda da quello che uno cerca. Se per qualcuno è fondamentale condurre un certo programma, è giusto che si dia da fare per ottenerlo. Per me, invece, è più importante dare il meglio in qualsiasi cosa io faccia. Se un giorno dovessi accorgermi che non è più così e che per il mio equilibrio è necessario dedicarmi a qualcos’altro, mi regolerò di conseguenza. A oggi la competizione è con me stesso».