Si racconta in occasione del ritorno del suo show: «Ogni volta spero che qualcosa faccia rimandare tutto!»
Dopo 39 anni di “Maurizio Costanzo Show” (la prima puntata andò in onda il 14 settembre 1982), è legittimo pensare che ormai Costanzo lo conduca a occhi chiusi. Invece non è così. Il 24 marzo il talk show che porta il suo nome riparte in seconda serata su Canale 5, eppure lui confessa di emozionarsi ancora un po’: «Oggi come allora spero sempre ci sia un terremoto o un incendio che faccia rimandare tutto. Come si fa a essere sicuri quando parli davanti a delle persone fisiche e a quelle che ti guardano da casa?».
Quando sente la sigla, la stessa da sempre, cosa prova?
«L’emozione di esserci ancora e di non essere passato a miglior vita».
So che nella prima puntata comincerà con “Uno contro tutti”. Chi sarà il protagonista?
«Partiamo con Giorgia Meloni (leader di Fratelli d’Italia, ndr) e poi tratteremo vari argomenti. Dedicheremo anche una puntata ai nonni, mentre tra gli altri ospiti avremo Ornella Muti, Katia Ricciarelli e Giampiero Mughini. Insomma, cercherò di smuovere le acque…».
Al “MCS” ha avuto più di 45 mila ospiti. Non le fa impressione?
«Ha ragione. In pratica ho intervistato una cittadina».
Va bene che lei ha una memoria prodigiosa, ma non mi dica che se li ricorda tutti…
«No, mi ricordo alcune battute».
Fra tutti, chi le ha dato maggiore soddisfazione?
«Giulio Andreotti per l’ironia impagabile. Vittorio Gassman per l’intelligenza. E Alberto Sordi per la romanità strepitosa e intelligente».
Giusto per non fare nomi, qual è invece la tipologia peggiore di ospite?
«Quelli che non rispondono o restano vaghi. Forse sono stupidi, non l’ho ancora capito».
È successo che qualcuno si rivelasse antipatico? E cosa ha fatto in quel frangente?
«Ci fu tanti anni fa, al Teatro Parioli, un’attricetta che entrò pensando di fare la furba e si andò a sedere sulla gambe di Bracardi (Franco, pianista storico dello show scomparso nel 2005, ndr). La presi per una mano e la cacciai».
Si è mai pentito di avere invitato qualcuno?
«No, parto dal principio che se l’intervista non viene bene, può essere anche colpa mia».
Se lei fosse ospite di se stesso, quale sarebbe la prima domanda che si farebbe?
«Se mi diverto ancora».
E cosa risponderebbe?
«Sì, come la prima volta, se no non lo farei. È la mia vita».
Lei che ha inventato il talk show 45 anni fa con “Bontà loro”, cosa vede nel futuro della tv?
«Non lo so, ma l’importante è che la tv sia sempre più vicina a chi la guarda e anche che sia sempre più dalla parte di chi l’ascolta».
Come giornalista ha iniziato a scrivere a 17 anni a “Paese Sera”, poi al “Corriere Mercantile” e a 22 anni è arrivato a Sorrisi. Si ricorda il primo servizio che scrisse per noi?
«No, ma ricordo che una volta mi mandarono a sentire in Abruzzo un concerto di Fred Buscaglione. Allora il direttore era Tarquinio Maiorino. Per voi ho scritto una lunga intervista a Totò: era il 16 agosto del 1959. L’ho incorniciata e la tengo qui, nel mio ufficio».
Cos’altro le fa compagnia?
«Colleziono tartarughe finte, ne ho più di 5 mila tra ufficio e casa. Poi amo i telefoni vecchi, ho ancora i primi Nokia. Mi tengono compagnia. E ho la memoria, i ricordi aiutano».
Dal 1960 è stato capo dell’ufficio romano di “Grazia”. È lì che ha imparato a conoscere il mondo femminile?
«Un po’ sì, c’era un grande direttore, Renato Olivieri, e ho imparato tantissimo in quegli anni. Ricordo che andai in Norvegia a cercare il figlio naturale di Ugo Tognazzi. E ogni settimana mi mandavano con il fotografo Velio Cioni a seguire una piccola storia di cronaca locale. In questo modo ho girato l’Italia».
In 65 anni di carriera, oltre al giornalista, ha fatto di tutto, tra cui il paroliere, lo sceneggiatore, l’attore, il produttore, il docente… Che cosa le manca?
«Niente. Sono molto contento perché il destino ha voluto che arrivassi a un’età avanzata con ancora la voglia e le possibilità fisiche e mentali di lavorare, è un grande regalo. Ho perso papà a 21 anni e mi viene da ringraziare lui».
Perché dice così?
«Sono figlio unico, papà l’ho perso presto e non ha visto niente di quello che ho realizzato nella vita. L’ultima volta che lo andai a trovare in ospedale, poi uscii per andare a fare un’intervista ad Alberto Rabagliati (cantante, attore e conduttore, ndr) per “Grazia”».
Ha dichiarato di essere bulimico di lavoro. Lo è ancora oggi?
«Uguale, un pazzo. Non solo il mio motto è “chi si ferma è perduto”, ma seguo anche un insegnamento di Piero Angela, che ha 10 anni più di me, e che mi disse di tenere sempre il cervello in funzione, di portare avanti dei progetti, se no arriva l’Alzheimer».
Cosa fa nei rari momenti in cui non lavora?
«Leggo, guardo la tv o chiacchiero con Maria. La mattina mi alzo alle 7, faccio colazione, sfoglio i giornali e vengo nel mio studio dove resto fino alle 18.30. Poi torno a casa, leggo, viene Maria, ceniamo e vado a dormire a mezzanotte, ma non mi addormento subito, non ho mai fatto la classica bella dormita».
Suona ancora il sax?
«No, ho smesso da anni, dopo “Buona Domenica” mi pareva ridicolo continuare. È chiuso nella sua custodia. Forse in cantina».
Il 19 marzo festeggerà la festa del papà?
«No, ci sentiamo al telefono talvolta, ma con Saverio e Camilla tutti i giovedì pranziamo insieme da me in ufficio. Ci facciamo portare delle cose dal ristorante, come oggi. Gabriele (adottato con Maria De Filippi, ndr) invece lo vedo domani sera. Sono un papà molto attento, ma non rompiscatole».
Invece lei che figlio è stato?
«Ero figlio unico e mi annoiavo, lo dicevo sempre a mia madre. È stata la costante della mia vita. Se ho fatto tante cose è per combattere il mio vero nemico: la noia».