Il 4 gennaio in prima serata parte un programma in cinque puntate, esilarante e con una vena di… sadismo

Il 4 gennaio in prima serata su Italia 1 parte “Back to school”, un programma in cinque puntate, esilarante e con una vena di… sadismo, perché 25 “celebri ripetenti”, preparati da 12 bambini in un collegio di Monza, dovranno ridare l’esame di quinta elementare in un’aula magna ricostruita negli studi di Cologno Monzese (MI). A esaminarli, una commissione di maestri veri, adulti. Mentre Nicola Savino farà da raccordo tra i momenti della preparazione e quello dell’esame vero e proprio. E chi viene bocciato, ripete l’esame.
Nicola, da uno a dieci, quanto ti sei divertito a fare questo programma?
«Tantissimo, perché ha qualcosa di nobile. Porta un po’ di cultura in tv e mi pare già molto. E poi ci sono materie per le quali ho un’ossessione, come la geografia: ho fremiti di piacere quando portano una cartina muta dell’Italia e chiedono di collocare le varie regioni con i magneti».
Chi tra i “celebri ripetenti” avresti voluto in classe con te per… copiare?
«Vladimir Luxuria. Una persona molto risolta e seria. E poi è preparatissima e colta».
Per fare scherzi?
«Clementino: lui è Lucignolo e io Pinocchio».
Come confidente?
«Giulia Salemi: ha un rapporto con i bambini invidiabile. È dolce e preparata».
Come compagno di banco?
«Evaristo Beccalossi o Totò Schillaci: non sono performanti come studenti, ma fanno morire dal ridere. E anche Nicola Ventola. Insomma, tutti gli ex calciatori».
Se invece di condurre ti avessero proposto di tornare sui banchi?
«Avrei accettato, perché sono molto competitivo. Anche se avrei fallito. Quando si tratta di indovinare voglio vincere, ma poi perdo. Ho delle lacune proprio sulle elementari perché dalla seconda alla quinta ho frequentato una scuola sperimentale a tempo pieno a San Donato Milanese».
Cosa aveva di particolare?
«Davamo del “tu” ai maestri. Non avevamo libri, ma prendevamo appunti sul quaderno. Facevamo un sacco di laboratori, giornalismo, lavoravamo la creta. Non c’erano i muri tra le classi, ma degli armadi. È stata molto formativa, ma mi ha fregato perché poi le nozioni ho dovute impararle a suon di “schiaffoni virtuali” alle medie e alle superiori».
Che studente eri?
«Abbastanza disordinato e poco diligente. Probabilmente soffrivo di quelle dislessie che all’epoca non erano state ancora diagnosticate. Credo di averle avute tutte! Però me la cavavo sempre».
Quindi andavi benino?
«Le priorità in quella scuola erano altre, non la didattica pura. Infatti c’era il “sei politico” per tutti e il giudizio, che nel mio caso spesso includeva frasi come: “Impegno discontinuo, non si applica”».
Riuscivi a stare seduto e attento fino all’intervallo?
«Poco. A me è sempre piaciuto guardare fuori dall’aula e invidiavo gli uccellini che potevano volare via».
Avevi grembiule e fiocco?
«In prima elementare sì, avevo il grembiule e il fiocco azzurro, ed era il più disordinato e sporco di tutti. Papà era ingegnere e mamma farmacista, lavoravano entrambi e mamma faceva quel che poteva. Ero abbastanza... dimenticato (ride)».
Ti hanno mai punito per qualche marachella?
«No, invece alle medie sono stato mandato dal preside perché avevo tirato una gomma a un compagno che me l’aveva chiesta. Mi sospese per un giorno».
Chi ti portava a scuola?
«C’era lo scuolabus. La fermata era a 200 metri da casa, ma mi accompagnava mia mamma perché dovevo attraversare la strada. Dalla quinta ho cominciato ad andarci a piedi da solo».
Ti ricordi com’è andato l’esame di quinta?
«Portai una poesia scritta da me che ebbe molto successo tra i maestri. Una costante dei miei esami sono docenti e professori che mi dicono: “Ma potevi dircelo che non eri così scarso”».
Ti è spiaciuto finire le elementari?
«Ricordo i saluti e tante bambine che piangevano, noi maschi invece pensavamo a scambiarci le figurine».
Anche per te gli esami sono ancora un incubo?
«Sì, sogno di dover dare la maturità o, peggio, di dovere tornare a scuola. La vita ci mette di continuo di fronte a degli esami per i quali non ci sentiamo preparati».