Il conduttore ci svela le tante novità del suo programma
Da lunedì 9 settembre torna per il terzo anno l’appuntamento con Pierluigi Diaco e il suo varietà “BellaMa’”, incontro generazionale tra “Gen Z” (18-25 anni) e “Boomer” (over 55): «Sono felice, lo vivo come una festa. C’è un clima allegro, da compagnia di giro. La felicità è legata a ciò che siamo riusciti a costruire coralmente e allo spirito che si vive in studio, che è inconsueto per un programma tv».
Le due precedenti edizioni hanno registrato ascolti in costante crescita. Sono risultati che la lusingano?
«È bello creare qualcosa da zero ed entrare con tatto nelle case del pubblico stabilendo un patto di fiducia. Mi piace cambiare il programma, farlo evolvere. Mi faccio trasportare dal flusso, molte cose non le decido prima, a parte le rubriche fisse».
In questi giorni vanno in onda i provini per i nuovi concorrenti e opinionisti che avete registrato a fine maggio. Come sono andati?
«Ci sono stati più di 4 mila iscritti e io ne ho visti circa 300. C’è una categoria di persone che si presenta a tutti i casting per la tv, ma non appena percepisco che c’è solo voglia di esibirsi passo alla candidatura successiva. Invece rimango stupito da quanti, e sono la maggioranza, hanno percepito lo spirito del programma e si fanno trovare preparati. Sono spontanei, e quando incontro una cosa rara come l’innocenza me ne innamoro».
Che cosa intende per “innocenza”?
«La delicatezza, la spontaneità, la mancanza di malizia televisiva che è indispensabile quando partecipi a una trasmissione, perché se una cosa è artefatta il pubblico se ne accorge».
Lei nella sua carriera ha mai fatto un provino?
«Sì, a 18 o 19 anni, ma era più che altro un incontro con il gruppo autoriale. Sono stato giudicato anche io, lo siamo tutti costantemente».
Sinceramente, si sente più a suo agio a giudicare oppure a essere giudicato?
«Quando giudichi speri di non ferire le persone che hai davanti. Quindi preferisco sicuramente essere giudicato perché non mi mette in imbarazzo. Non mi spaventano i giudizi degli altri. Si deve avere la grazia di sapere incassare. Io sono stato abituato a ogni tipo di critica, ho le spalle larghe».
Parliamo delle novità. Cominciamo dallo spazio del lunedì, “BellaSanremo”, con Roberta Capua.
«Sarà un conto alla rovescia verso Sanremo, con la storia del Festival e un gioco legato alle canzoni, alle vittorie e alle sconfitte. Roberta ci aggiornerà rispetto alla costruzione del Festival da parte di Carlo Conti, cercheremo di avere una “via preferenziale” per ottenere qualche anticipazione».
Roberta Capua è diventata una presenza importante, cosa le piace di lei?
«Per il secondo anno è la madrina di “BellaMa’”: trovo sia speciale, competente, aggraziata. Ha il dono della sottrazione, meriterebbe molto di più. Il nostro è un rapporto nato spontaneamente: l’ho ospitata in una puntata, mi è piaciuta e le ho chiesto di fare la madrina e altre cose con noi. La stessa cosa è capitata con Marco Morandi e Nancy Brilli».
Tanto che a Nancy Brilli il martedì ha affidato la rubrica “Tutti recitano le favole”. Com’è nata questa idea?
«Da un ricordo di me alle elementari, quando a fine anno si faceva la recita ed era un momento ludico, divertente, con tanto di costumi. Negli anni ho visto le recite dei miei nipoti e ho deciso di riproporle in tv. Si torna bambini e i concorrenti reciteranno delle favole con un’attrice che li indirizzerà, motiverà e giudicherà».
Aveva una favola preferita da piccolo?
«Non è esattamente una favola, ma Peter Pan rappresenta per me qualcosa di profondo, soprattutto Trilly, una figura molto tenera».
Sempre il martedì debutta “Tutti cantano le emozioni”, con il critico musicale Gino Castaldo e Marco Morandi, figlio di Gianni.
«Ci sono dei grandi classici che parlano a ogni generazione. L’idea è capire come nasce una canzone, se il significato che le diamo oggi è quello originale e che cosa rappresenta per le persone in studio».
È stato riconfermato lo spazio “Dove si trova Dio” con don Walter Insero. La gente apprezza che siano trattati questi temi in tv?
«Sì, molto. Funziona perché la spiritualità fa parte dalla nostra esistenza. Non è una lezione di catechismo ma parliamo di tante cose, dei sentimenti umani, capendo qual è la versione della parola di Dio. Poi in studio ci sono persone che credono e non credono, o di altre religioni. Il sacerdote non conosce prima le domande e si mette in ascolto dei dubbi delle persone. È uno spazio aperto».
Lei che rapporto ha con la religione e, in generale, con la spiritualità?
«Io ho una fede sorretta dalla convinzione che, nei momenti belli e in quelli meno belli della mia vita, mi sono sempre appellato a Dio e credo che mi ascolti, o almeno mi illudo che sia così. Ci sono momenti in cui la fede è più solida, altri in cui lo è meno. La mia spiritualità passa attraverso l’innamoramento per gli altri essere umani, l’empatia che si instaura con una persona».
Giocando proprio sul titolo della rubrica di don Insero, lei dove trova Dio?
«Nei non detti degli esseri umani. In quelle cose che si capiscono anche in silenzio».