“Sapiens”, Mario Tozzi: «Mio papà era uno 007 e nessuno lo sospettava…»

Riparte su Raitre, festeggia 20 anni da conduttore e rivela che è figlio di un agente segreto inviato nei Paesi dell’Est

Mario Tozzi
24 Aprile 2021 alle 09:52

Vent’anni di conduzione e non sentirli. «In realtà non sono tantissimi, ma fanno impressione perché si tratta di tv e trascorsi quasi sempre in prima serata» ci dice Mario Tozzi, che dal 24 aprile torna su Raitre con “Sapiens - Un solo pianeta”.

Geologo laureato con lode («Due anni fa ho ricevuto la “Laurea illustre” che la Sapienza di Roma assegna ai suoi migliori laureati»), Cavaliere del lavoro, primo ricercatore presso il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche), titolare di un asteroide, l’11328 Mariotozzi, ma soprattutto un divulgatore capace di rendere interessanti anche i temi più ostici: «Perché sono appassionato e come geologo ho un certo gusto per il racconto».

Questo gusto quando l’ha scoperto?
«Sono sempre stato un intrattenitore. Quando si andava con gli altri ragazzini in campagna, inventavo storie come quella sulla rana Margherita: avevo convinto tutti che ogni volta che tornavamo lì, la rana era sempre la stessa».

Da piccolo quali erano i suoi sogni?
«Desideravo avere a che fare con le pietre. Ho una foto di me a 6 anni con mia sorella davanti a una grotta. Mi preparavo a entrare per scoprire da dove venivano le rocce. Mi interessava sapere com’era fatto il posto in cui vivevamo e la geologia lo spiega. Volevo stare nella natura e mi piaceva scrivere, disegnare e raccontare per immagini. A 10 anni lo facevo creando storie a fumetti».

I suoi genitori erano contenti di queste passioni?
«Mi hanno sempre lasciato molta libertà. Papà era un agente segreto, faceva il corriere diplomatico nei Paesi dell’Est, ma l’ho scoperto solo in seguito, quando è diventato dirigente del Ministero del Tesoro. Aveva la vena per la scrittura e amava leggere. Mamma era assistente sociale, reinseriva i malati di tubercolosi nel mondo del lavoro. Da lei ho preso il lato empatico».

Dopo la maturità classica si è laureato con lode in Scienze geologiche. Che cosa voleva fare nella vita?
«Volevo insegnare all’università e l’ho fatto, ho un dottorato di ricerca a Parigi e sono diventato primo ricercatore del Cnr, anche se ora mi occupo più di comunicazione che di studio».

Nel 1996 ha iniziato a collaborare a “Geo & Geo”: com’è finito in tv?
«Avevano comprato una tonnellata di documentari, tra cui 60 su temi geologici, ma non avevano chi li commentasse. Un collega etologo, che commentava quelli sugli animali, mi ha portato dagli autori del programma e ho iniziato a spiegare loro cosa dire. Così mi hanno detto di farlo direttamente io. Sono stati i primi anni di palestra».

Il “salto” arriva nel 2001 quando inizia a condurre “Gaia - Il pianeta che vive”.
«Allora ero inviato di “King Kong”, condotto da Licia Colò. Agli autori era piaciuto quello che facevo e mi proposero di fare una puntata zero di un programma tipo “King Kong” ma tutto girato sul territorio per documentare cose molto diverse, accomunate però dalla storia della Terra. Provammo ed ebbe un ascolto rilevante con il 15% di share. Da allora cominciò “Gaia”».

Le telecamere la intimidivano?
«No, non mi emoziono: mi piace il contatto con il pubblico e non ho mai provato imbarazzo. Mai, neanche agli esami all’università. Sono emotivo in amore, nel lavoro no».

Insomma, nessuna difficoltà a condurre per la prima volta?
«No, anche perché avevo alle spalle 150 documentari sull’Italia, realizzati solo per l’estero tra il 1998 e il 2000 dalla casa di produzione di Licia Colò per Rai International, allora diretta da Renzo Arbore. Con me c’era anche Ilaria D’Amico. Renzo mi disse: “Vediamo se sai fare un documentario”. Così andai a Foggia, dove è nato lui, e ne feci uno che gli piacque molto. Fu un’esperienza molto importante. Con Arbore ci sentiamo ancora. Dice sempre che gli piace il mio lavoro».

Quali erano gli argomenti principali che trattava all’epoca?
«Le prime puntate di “Gaia” erano su più argomenti. Poi sono diventate tematiche: parlavamo di acqua, rifiuti, impianti di energia, questioni naturalistiche come la deforestazione. Molti di questi problemi sono rimasti immutati, anzi si sono aggravati».

Fare divulgazione non dovrebbe aiutare a migliorare il mondo?
«A parole oggi c’è una maggiore sensibilità. Ma di fatto non so se sia cambiato davvero qualcosa, non ne sono sicuro».

Chi sono stati i suoi maestri?
«Piero Angela. Non ho il suo stile, ho un linguaggio più sporco, ma lui è il mio punto di riferimento, ha aperto la possibilità di fare divulgazione su questi temi. Invece a stare davanti alle telecamere me lo ha insegnato Licia Colò. Veniva fuori anche lei, le prime volte che giravamo, e mi diceva come fare».

Cosa si regalerà per festeggiare i suoi primi 20 anni di conduzione?
«Voglio imparare a fumare la pipa e regalarmene una».

Per finire, una curiosità: su Wikipedia alla voce “vita privata” si dice solo che è vegetariano. Non c’è altro che vuole “divulgare”?
«Ormai ho 61 anni, la mia vita privata non è interessante. Sono stato sposato, ho divorziato e ho un figlio diciassettenne che vuole fare l’attore comico. Sì, lo so, ho fatto tutto un po’ in ritardo».

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