Il conduttore della trasmissione di Raitre ci racconta il suo metodo di lavoro: «Ho tanta dedizione e cocciutaggine nel mio Dna»

Forte di 2 milioni e mezzo di telespettatori a puntata, Sigfrido Ranucci sta portando avanti un’ottima stagione di “Report”, il programma di inchieste del lunedì sera di Raitre che ha una lunga tradizione alle spalle.
Ranucci, di che cosa vi occuperete nelle prime settimane del 2021?
«Continueremo a parlare di Covid, di vaccino. Ma nella prima puntata dell’anno, quella del 4 gennaio, parleremo della trattativa Stato-Mafia come mai è stato fatto finora, con testimonianze esclusive: l’ex funzionario di Polizia Bruno Contrada, l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, il magistrato Nino Di Matteo e il pentito Francesco Di Carlo che ci ha rilasciato un’intervista prima della sua morte, avvenuta per Covid lo scorso aprile in Francia».
Chi sceglie i temi su cui indagare?
«La scelta è ampia: ci arrivano 78 mila segnalazioni a semestre. Molte sono poco più che liti condominiali, ma nel mezzo c’è qualche filone originale da seguire».
Qual è la difficoltà principale per scegliere?
«Bisogna avere una visione di cosa sarà attuale nel medio periodo: per realizzare un’inchiesta di “Report” servono almeno tre, quattro mesi di tempo».
Però seguite anche la stretta attualità.
«L’emergenza Covid ci ha dato una forte scossa in questo senso. Una scommessa vinta grazie a tutta la squadra. A volte, per via dei contagi, i montatori hanno lavorato da casa in quarantena con grande dedizione, perché una volta che hai la “maglia” di “Report”, è per sempre».
Quanti giornalisti ha nella sua squadra?
«Dodici, tra quelli che hanno già “l’ossatura” e la nuova “cucciolata” che si sta formando nella nostra palestra di giornalismo investigativo. E una redazione di otto persone controlla fonti, notizie e tutti i fatti sia in entrata, cioè prima di avviare l’inchiesta, sia in uscita, prima della messa in onda».
Controlla tutti i servizi personalmente?
«Sì. La domenica mattina guardo la puntata che sarà trasmessa il giorno dopo e il lunedì alle cinque vado al montaggio per cambiare le cose che non mi convincono. Tengo moltissimo al ritmo della narrazione, perché certi argomenti a tratti possono avere l’appeal di un manuale tecnico per caldaie (ride): non voglio che la gente si addormenti».
Lei quante ore dorme?
«Pochissime. Certe volte mi alzo alle tre e mezzo. E il poco tempo libero che ho, lo dedico a proteggermi e a difendermi dalle querele che mi arrivano a bizzeffe».
In video va sempre in camicia. Una scelta di stile o di comodità?
«In sartoria hanno provato a farmi indossare la giacca, ma ero impacciato. Del resto sono un motociclista, vado in giro così anche fuori».
E perché porta l’orologio a destra?
«Perché mi fa sentire più “vestito”, più a mio agio quando gesticolo. E anche perché questo orologio me lo ha regalato una persona che mi è molto cara».
Prima di condurre, ha passato una vita sul campo. Da inviato ha raccontato la guerra nei Balcani e il crollo delle Torri Gemelle a New York, ma si è anche occupato di mafia scovando l’ultima intervista di Paolo Borsellino e vive sotto tutela dei Carabinieri ormai da 11 anni. Qual è l’inchiesta a cui è emotivamente più legato?
«Forse quella sul ritrovamento dei quadri di Calisto Tanzi, a dieci anni dal crac Parmalat. Lì dovevo scegliere tra dare subito la notizia o denunciare prima alle autorità la cosa, rischiando però di compromettere lo scoop. Ho deciso di optare per il bene pubblico, perché mio padre lavorava nella Guardia di Finanza».
Le manca suo padre Bruno?
«Papà ci ha lasciati poco dopo aver saputo che avrei ereditato io la “creatura” di Milena Gabanelli, ma non ha fatto in tempo a vedermi condurre la trasmissione. E mi dispiace molto».
Sua madre Maria Teresa sarà fiera di lei, ora che è vicedirettore di Raitre.
«Mamma continua a dirmi: “Non fare troppi nomi”. Quanto alla carica, sono un vicedirettore “a chilometro zero”: non ricevo neanche un euro in più per questo. Ma ringrazio il direttore di Raitre Franco Di Mare, che sta facendo crescere la rete, perché ho l’opportunità di fare progetti per proteggere il marchio di “Report”, guardando al futuro».
Com’è diventato giornalista?
«Dopo la laurea in Lettere ho insegnato Italiano e Storia. Ho fatto supplenze in un liceo linguistico a Ostia e poi nelle scuole serali e parificate. Ma quando ho iniziato come assistente ai programmi in Rai ho capito che mi piaceva raccontare storie. E la mia è stata anche una scelta dettata dallo stipendio: da prof prendevo 10 mila lire l’ora».
Che cosa fa quando non lavora?
«Mi ritiro nella mia casa in montagna a Rocca Massima, in provincia di Latina. La situazione perfetta: io e l’orizzonte ampio, dopo tante ore passate a mezzo metro dal computer».
E lì cucina volentieri?
«Molto. Soprattutto la pasta, il pesce e i risotti».
Ha altri hobby che non immagineremmo mai?
«Un tempo coltivavo rose, circa 65 tipologie diverse. Però ho smesso quando sono diventato autore di “Report”, perché era troppo impegnativo».
Lei è riservatissimo sulla sua vita privata. Ha una famiglia?
«Ho tre figli, ormai sono grandi».
Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca ha ironizzato sul suo “nome nibelungico”. Da dove ha origine?
«Sempre muscolare, il governatore De Luca, che ha chiesto il licenziamento di un nostro giornalista. Chissà se sarebbe altrettanto ligio con i suoi collaboratori che commettono errori… Comunque, il padre di mio nonno amava Wagner e chiamò mio nonno Sigfrido proprio per via della tetralogia de “L’anello del Nibelungo”. Io porto orgogliosamente il suo nome, perché da lui ho preso la cocciutaggine. Nonno era un socialista e una volta fu fermato dai fascisti che lo obbligarono a bere l’olio di ricino davanti a mia nonna. Lui vuotò il bicchiere e chiese loro di riempirlo un’altra volta».
Se dovesse indagare su Sigfrido Ranucci, dove scaverebbe?
«Dipende da cosa si vuol trovare. Io non ho niente da nascondere, affronto le difficoltà a testa alta. E, come tutti, ho le mie fragilità».