Silenzio in aula, c’è “Un giorno in pretura”

Lo storico programma di Rai3 torna in onda con quattro processi che hanno fatto scalpore

7 Maggio 2022 alle 08:15

Roberta Petrelluzzi torna nei tribunali per ripercorrere i processi di importanti casi di cronaca nera in “Un giorno in pretura”. Si comincia sabato 7 maggio con la tragedia della studentessa Marta Russo, della cui morte furono ritenuti colpevoli due assistenti universitari, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Si prosegue col processo per l’uccisione del carabiniere Mario Cerciello Rega, avvenuta a Roma nel 2019. Toccherà poi all’assassinio della pittrice Renata Rapposelli nel 2017 e di George Floyd, ucciso dalla polizia a Minneapolis (Usa) nel 2020.

Roberta, iniziamo dalla vicenda Marta Russo.
«Ce ne eravamo già occupati. Ma la riprendiamo perché cade il 25° anniversario dalla morte. E ci sono ancora aspetti non chiari. Inoltre è un caso che ha fatto emergere l’atteggiamento giustizialista dirompente».

Che cosa intende?
«Scontata la pena, Scattone è tornato a insegnare ma ha dovuto abbandonare a causa delle polemiche e delle pressioni che gravavano su di lui. La gente è feroce, marchia a vita i colpevoli, scordando che il carcere serve a riabilitare le persone».

Anche i media giocano un ruolo importante?
«Assolutamente sì. Prendiamo l’omicidio di Sarah Scazzi ad Avetrana nel 2010. Sono state condannate la cugina Sabrina Misseri e la zia Cosima Serrano ma io credo nella loro innocenza. Ed è stato uno dei casi in cui i media si sono scatenati, con ipotetiche ricostruzioni e saltando subito alle conclusioni».

Il suo programma si limita invece ai fatti...
«Cerchiamo di dare al pubblico tutti gli strumenti perché possa farsi un’idea non tanto sul colpevole ma sulle motivazioni del reato. Non ci sono mostri, entra in gioco l’animo umano che in determinate situazioni può dare il peggio di sé».

I delitti familiari destano più indignazione?
«Certo, perché coinvolgono la psiche e dinamiche che riguardano tutti: smuovono i nostri sentimenti più profondi, legami viscerali, come quelli tra genitori e figli».

C’è un caso in particolare che vorrebbe trattare?
«Tantissimi. Uno per tutti, l’omicidio di Yara Gambirasio. Ma spesso non riusciamo a ottenere tutte le autorizzazioni dalle persone coinvolte: giudice, avvocati, pubblico ministero, imputati, parenti...».

Cosa ha imparato in tanti anni?
«A decifrare le persone e le situazioni. A non dare giudizi affrettati e a non fidarsi mai delle prime impressioni».

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