“Stanotte con Caravaggio”, storia di un genio attaccabrighe

Mercoledì 9 dicembre in prima serata su Raiuno, Alberto angela dedica una serata a un artista dai molti volti

Alberto Angela posa sotto il suo dipinto preferito di Caravaggio: “Giove, Nettuno e Plutone”(1597) nel Casino di Villa Ludovisi a Roma
3 Dicembre 2020 alle 08:28

Era un artista divino? O un delinquente? «Tutte e due le cose, e proprio per questo è così interessante» spiega Alberto Angela, che al genio di Caravaggio dedicherà la serata del 9 dicembre con "Stanotte con Caravaggio". «Michelangelo Merisi detto il Caravaggio era un attaccabrighe, il figlio violento di un’epoca difficile: ha ucciso un uomo in una rissa ed entrava e usciva di galera. Ma ci ha lasciato in dono un patrimonio di bellezza inestimabile. Siamo andati a esplorare la sua storia partendo dall’ultimo luogo dove fu visto vivo: Palo, vicino a Ladispoli, in provincia Roma».

Che cosa la affascina di più di questo personaggio?
«Il mistero. La sua vita è come i suoi quadri: tanto buio, poi un’esplosione di luce che illumina un’immagine. E poi di nuovo buio. Ci sono periodi in cui nessuno sapeva dove fosse. E forse proprio uno di questi è all’origine della sua indole violenta: pare sia andato per alcuni anni a combattere come mercenario, sviluppando al ritorno la “sindrome di Rambo”, quella dei reduci che non riescono più a inserirsi nella società. Questo spiegherebbe anche la sua abilità con le armi».

Come è riuscito un uomo dalla vita così turbolenta a diventare un grande artista?
«Caravaggio usò il suo genio per fare di necessità virtù. Visto che era sempre in fuga e aveva sempre bisogno di soldi, elaborò una tecnica per concludere più velocemente i suoi dipinti: i famosi fondali scuri servivano anche a liberarsi dal compito di disegnare tutti i dettagli dell’ambiente e dello sfondo. Poi, poiché non poteva permettersi di pagare i modelli, usava come modello se stesso, dipingendo con l’aiuto di specchi, oppure popolani e prostitute presi dalla strada, il che dà alle sue immagini un senso di realismo in anticipo sui tempi».

Come avete realizzato il programma in questa epoca di limitazioni per la pandemia?
«Noi siamo stati tra i più colpiti, perché di solito viaggiamo molto. Ma per fortuna ho una squadra dalla flessibilità eccezionale: se non potevamo più girare il mondo, lo abbiamo ricreato nel nostro studio. Abbiamo costruito un gigantesco set virtuale che mi permetterà di passeggiare dentro i quadri di Caravaggio come se fossi nelle vie di una città».

Ci saranno anche le ricostruzioni d’epoca e i grandi ospiti a cui ormai siamo abituati?
«Certo... Caravaggio visse i momenti decisivi della sua storia in un’epoca cupa e affascinante, la stessa di “I promessi sposi”: l’inizio del Seicento. Riproporremo alcune scene della miniserie del 2008 in cui Alessio Boni interpretava Caravaggio. E avremo ospite proprio il direttore della fotografia di quel set, il premio Oscar Vittorio Storaro, che ci racconterà come le opere del pittore abbiano influenzato in maniera decisiva i grandi nomi del cinema... a cominciare da lui stesso».

Intanto lei si dà da fare anche in libreria, dove è appena uscito un libro su Nerone.
«Un altro bel caratterino... Sì, si chiama “L’ultimo giorno di Roma” (edito da HarperCollins, ndr) ed è il primo volume di una trilogia dedicata all’imperatore e all’incendio della Capitale. Lo racconto ripercorrendo la vita della città via per via e ora per ora, come in un film».

Allora mi tolga un dubbio che non ho mai risolto: il fuoco lo appiccò Nerone o no?
«È estremamente improbabile. A parte il fatto che nell’incendio l’imperatore perse ville, proprietà e collezioni d’arte a cui teneva moltissimo, c’è proprio un problema tecnico: non puoi pianificare un simile disastro senza lasciare prove evidenti».

Grazie. Per concludere: pochi giorni fa la prestigiosa rivista scientifica “Nature” ha pubblicato un articolo sull’olio d’oliva più antico del mondo. Quello che lei ha scoperto durante una puntata di “Superquark”. Che effetto le fa?
«Un’emozione bellissima. Ricordo quando ho visto quella sostanza misteriosa all’interno di un’anfora di vetro del Museo archeologico di Napoli e ho detto: “Ragazzi, potrebbe essere qualcosa di prezioso, bisogna farla analizzare”. Ma non mi aspettavo che fosse una scoperta così clamorosa, pensavo a un unguento o a un profumo. Il fatto è che, anche quando sono in tv, non smetto mai di fare ricerca».

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