Stefano De Martino: «Mi diverto solo se sto scomodo»

È tornato su Rai2 con il suo "Bar Stella": «Ho lasciato la danza perché non avevo più l’entusiasmo di scoprire qualcosa di nuovo. La tv mi piace perché ho ancora tanto da imparare: per stare bene io devo sempre sentirmi non all’altezza...»

Stefano De Martino  Credit: © Iwan Palombi
8 Dicembre 2022 alle 08:00

Negli studi Rai di Napoli c’è qualcosa che lavora senza sosta: la caffettiera nel camerino di Stefano De Martino. È in questo ambiente spazioso, luminoso, con un irresistibile aroma di caffé nell’aria che il conduttore e i suoi autori, seduti sui divanetti blu e davanti a tazzine fumanti, preparano le puntate di “Bar Stella”, il programma in onda in seconda serata su Raidue. Perché De Martino, partito come ballerino ad “Amici”, è oggi uno dei giovani conduttori più apprezzati della tv.

Stefano, quanti caffè prende al giorno?
«In realtà cerco di non andare oltre i tre. Ma ne preparo molti più di quelli che bevo, perché mi piace offrire il caffè. Lo faccio per esempio con gli ospiti: quando arrivano ci ritroviamo qui nel mio camerino, che ha sempre la porta aperta. Questo luogo è un po’ il centro nevralgico del programma. Oltre alla sala prove, dove c’è il biliardino».

Il biliardino?
«Facciamo tornei su tornei...».

Chi vince?
«Io e Riccardo Cassini (autore, ndr), siamo la squadra imbattuta (ride)».

È appena partita la seconda stagione del suo programma “Bar Stella”.
«La chiamo “una nuova prima stagione”».

Cosa intende?
«La prima è stata impegnativa per la costruzione del luogo: per me era importante ricreare l’atmosfera del bar di famiglia da cui ho preso spunto per il programma. Adesso che il bar è pronto, possiamo scrivere pagine di nuova memoria».

Il sottotitolo recita: è un “non-show”.
«È una televisione artigianale alla vecchia maniera. Non inseguiamo un format preciso, il “non-show” è un luogo che, a seconda di chi ci passa, prende vita in maniera diversa. Siamo in seconda serata, non c’è l’ansia dei grandi numeri e si può sperimentare».

Stavolta sono tre appuntamenti settimanali.
«Questo ci permette di stare sull’attualità. Si dice che la pancia del Paese sia proprio nei bar di provincia, come il nostro Bar Stella, e noi cerchiamo di cavalcare le notizie che più ci fanno sorridere o riflettere. Chiaramente il racconto è declinato con ironia ma abbiamo anche degli esperti dei temi che vogliamo trattare, che ci danno qualche piccolo approfondimento».

In studio c’è una band che suona dal vivo e abbiamo scoperto che lei sa anche cantare...
«Non ho velleità da cantante, ma mi diverto e quest’anno faccio anche qualche duetto con gli ospiti».

Il programma prende il nome dal vero bar della sua famiglia.
«Sì. Il Bar Stella l’ha fondato il mio bisnonno Michele nel 1922 a Torre Annunziata (NA), poi è andato avanti con mio nonno Stefano, da cui ho preso il nome, e con mio papà Enrico».

Come mai è un luogo così importante per lei?
«Guardi, le mostro le foto (appese al muro, accanto allo specchio del camerino ci sono le foto in bianco e nero del vecchio bar, ndr). Era adiacente all’ospedale che non aveva un bar interno ed era diventato il punto di ritrovo della città: una vera istituzione. Io sono cresciuto là dentro, la mia infanzia e la prima adolescenza sono legate a quel posto. E quando entro nello studio del programma l’atmosfera me lo ricorda».

Lei che bambino era?
«Curioso e timido. Crescendo, il sarcasmo e l’ironia mi hanno aiutato a smorzare la timidezza».

Quali erano i suoi giochi preferiti?
«Andavo in bicicletta, giocavo a pallone, disegnavo tantissimo. Mio figlio Santiago ha la stessa abilità e passione per il disegno e mi piace “spiarlo”: quando lo vedo che prende un foglio e una matita mi ci ritrovo in pieno».

E la sua passione per la danza quando l’ha scoperta?
«Mio papà era un ballerino del San Carlo di Napoli e da piccolo mi piaceva vederlo in teatro, ma non avevo mai pensato di fare la stessa carriera».

E poi?
«Avevo 10 anni e mia sorella Adelaide, che di anni ne aveva 5, voleva andare a scuola di danza. I miei lavoravano al bar e allora la accompagnavo io. La mettevo sulla bicicletta e la portavo a lezione, ma la scuola era un po’ lontana da casa e allora mi fermavo per non fare avanti e indietro. Un giorno la maestra di danza mi disse: perché non provi? Ho provato e non ho più smesso».

Il suo primo provino?
«A 16 anni per uno spettacolo con Johnny Dorelli al teatro Sistina. Mi presero, ma alla fine lo spettacolo non partì. Un anno dopo feci un altro provino per il tour di Renato Zero. Arrivai fino in fondo anche lì, ma il coreografo mi disse: “Hai 17 anni, dovresti lasciare la scuola per fare questo tour e io non me la sento di prendermi questa responsabilità”. Quella responsabilità la presi io. Lasciai il liceo perché il pomeriggio andavo a scuola di danza e la mattina volevo lavorare».

Che lavoro faceva?
«Il garzone di un negozio di ortofrutta. Mi svegliavo prestissimo, andavo ai mercati generali a caricare le casse. L’ho fatto per due anni, fino al provino per “Amici”».

E la scuola?
«L’ho ripresa, ho fatto il quarto e il quinto anno insieme e ho passato l’esame di Maturità. Lì ho capito che avevo una buona dose di improvvisazione a cui avrei potuto attingere nella vita (ride)!».

Con “Amici” tutto è cominciato. Ma nella sua carriera qual è il consiglio più prezioso che ha ricevuto e chi glielo ha dato?
«Maria (De Filippi, ndr) all’inizio mi disse: “Sii te stesso”: è la cosa più difficile da fare in televisione, si fa fatica soprattutto all’inizio, ma oggi se mi guardo e mi ascolto in tv, mi riconosco».

A un certo punto ha deciso di lasciare la danza. Come mai?
«Sono schiavo del mio entusiasmo: quando lo perdo devo trovare il modo di riaccenderlo. Il momento in cui la danza era diventata un mestiere e non c’era per me più nulla da scoprire, mi è venuto naturale affacciarmi alla televisione. Sono così: se sto scomodo mi diverto, se sto comodo mi annoio».

Lei è il volto di punta di Raidue, conduce due programmi, “Stasera tutto è possibile”, che tornerà dopo Sanremo, e ora “Bar Stella”: in televisione starà scomodissimo...
«È vero (ride). Io mi devo sempre sentire non all’altezza. Sa cosa mi piace fare nel tempo libero?».

Cosa?
«Mi piace imparare, applicarmi sulle cose che non so fare bene. Per esempio, suonare il pianoforte: non sono un pianista provetto, ma studiarlo mi aiuta. E poi guardo tanta televisione, soprattutto quella di altri tempi. Su RaiPlay ci sono le teche Rai a disposizione: è uno strumento fantastico, mi ci perdo».

E con suo figlio cosa le piace fare?
«Giochi fisici: lotte, rincorse, salti sul letto. Intrattenere i bambini è sempre più difficile, hanno il mondo in tasca, sul telefono».

Il luogo di Napoli che ha nel cuore?
«Napoli secondo me è “la peggiore città più bella del mondo”. Nelle sue contraddizioni trovo una magia. È una città unica, nella quale se potessi scegliere vorrei rinascere. E amo guardarla dal mare: è poetica».

In cosa si sente napoletano?
«Nel modo che ho di sdrammatizzare e cercare di farmi una risata anche sulle difficoltà della vita».

Stefano, sono tutti pazzi di lei. Qual è la cosa che lei più ama di sé?
«L’ossessione con cui perseguo i miei obiettivi: quando mi metto una cosa in testa, diventa il mio credo».

E invece un suo difetto?
«Vorrei riuscire a fare più cose contemporaneamente. Non sono multitasking, ragiono a compartimenti stagni ed è una cosa che non sopporto di me».

Le capiterà di staccare la spina!
«Certo. In quei casi mi piace viaggiare, stare in famiglia».

A proposito di famiglia, lei oggi è un uomo felice?
«Sono un privilegiato, faccio quello che amo e sì, oggi sono un uomo molto felice».

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