«Ho diretto il mio mito, Diego è come una spugna: assorbe e impara subito tutto» dice l’attore e regista napoletano. «E ora ha promesso di giocare con me a calcetto»
Uno spettacolo unico e irripetibile. Con il suo «Tre volte 10» Alessandro Siani è riuscito a portare in scena per una sera Diego Armando Maradona. Il 16 gennaio scorso il Teatro San Carlo di Napoli si è aperto ai racconti di Diego sulla sua vita, la carriera, la «sua» Napoli. Il 27 aprile alle 21.15 quel live show che è stato privilegio di pochi arriva in tv grazie al canale Nove. Due ore di spettacolo in cui sono intervenuti personaggi legati a Diego e alla città. Gli ex colleghi Alex Del Piero, Roberto Baggio e Francesco Totti con i loro videomessaggi, il poeta urbano Peppe Lanzetta, Gianni Minà, Lina Sastri, il rapper Clementino che ha fatto ballare Diego sulle note del freestyle, il Genny Savastano della serie «Gomorra» , il magistrato anti camorra Catello Maresca.
Vai all'intervista esclusiva a Diego Armando Maradona
Siani, come c'è riuscito?
«Non è stato semplice. Questo spettacolo ha avuto una genesi lunga. Tre anni fa feci un'esibizione a Sanremo, un monologo su Nord e Sud, e Diego mi telefonò per complimentarsi. Io non l'avevo mai sentito, fu emozionante. Poi ci siamo rivisti a Napoli, in un'altra occasione, ed è stato lui, un po' scherzando e un po' seriamente, a chiedermi di fare un film insieme. Io ho colto subito la palla al balzo: ?Ok, però se gioco a calcetto con gli amici tu devi venire e stare in squadra con me».
Come si è passati dall'idea del film al live show?
«Era troppo impegnativo ricavare dall'agenda di Maradona tutto il tempo che serve per un film. Così ho pensato di scrivere uno spettacolo e portarlo al San Carlo».
Per qualcuno è stata una profanazione di un tempio della cultura.
«Polemiche sterili. Dicevano che avremmo trasformato il teatro in uno stadio. Invece è stato uno spettacolo civilissimo».
Immagino le sue ansie. Diego è notoriamente imprevedibile.
«L'unica mia paura era che... non arrivasse proprio! Una bronchite, o una cosa del genere è sempre dietro l'angolo. Per tutto il resto, invece, Diego è sorprendente: è una spugna, ascolta con attenzione e assorbe tutto. Lo spettacolo era cucito su di lui, è vero, ma soprattutto nella prima parte, dove doveva seguire l'ingresso degli ospiti e fare tutto nell'ordine previsto, non si poteva improvvisare. È stato molto bravo. Io, poi, per spronarlo non gli avevo messo né un gobbo né un auricolare. Volevo che rimanesse concentrato. In altri momenti, invece, come quando giocava a calcio, per lui è meglio lo schema libero. Così ha aggiunto anche delle cose che non erano previste come il colpo di scena finale con le scuse al figlio Diego jr.».
Quindi come regista è soddisfatto?
«Sì, sono rimasto colpito. Un momento emozionante è stato quando sono andato nel suo camerino prima dello spettacolo e siamo stati in silenzio per due, tre minuti, intensi. Ci siamo guardati negli occhi e ho capito che lui ci teneva davvero a quest'ennesima sfida. Venire al San Carlo non era semplice e lui ne era consapevole».
Che filo ha seguito per scrivere lo spettacolo?
«Ho cercato di raccontare com'era Napoli prima dell'84 e come è cambiata con l'arrivo di Maradona. Nel Dna di noi del Sud spesso c'è la rassegnazione, un sentimento che ti limita. E nel nostro Dna l'idea di vincere non c'era. Lui ci ha fatto vedere, per la prima volta, che cosa significava vincere. Con lui ce l'abbiamo fatta e questo ci ha dato la consapevolezza che allora possiamo rifarlo. A Napoli c'erano forze straordinarie in quel momento: lui nel calcio, Troisi nel cinema, Pino Daniele nella musica, una sorta di cerchio magico buono. Era un periodo esaltante umanamente e artisticamente per la città».
Lei è un attore comico. C'è un lato comico di Maradona?
«Lato comico? Diego è uno scugnizzo, scherza sempre. Dopo lo spettacolo, al ristorante ha fatto un altro show. Fa battute, canta, quando sei con lui ti diverti, fa sentire tutti a proprio agio. In hotel, dove lo aspettava una marea di gente, ha fatto credere ai bodyguard di essere andato in camera e poi è uscito di nuovo ed è andato in mezzo alla folla. Diego è fatto così: si nutre dell'amore della gente».