Tutti a tavola con Chef Rubio e i «Camionisti in trattoria»

Il cuoco più controcorrente della tv racconta la sua esperienza alla scoperta di trattorie in giro per l'Italia. Gli episodi sono in onda sul Nove la domenica alle 21.25

Chef Rubio, al secolo Gabriele Rubini, durante una puntata di «Camionisti in trattoria»
7 Gennaio 2019 alle 15:09

Dopo avere girato l’Italia in Tir al fianco di affamati camionisti, Gabriele Rubini, per tutti ormai Chef Rubio, si è rifugiato nella millenaria quiete del Giappone. Qui si ritempra dalle fatiche di «Camionisti in trattoria» e si prepara alla nuova stagione, «promossa» sul Nove, il canale generalista del gruppo Discovery, in prima serata  da marzo 2019.

Intanto anche gli otto episodi dell’attuale stagione sono in onda sul Nove dal 6 gennaio la domenica alle 21.25. Disturbare un ex rugbista in una situazione così non è mai un’ottima idea, ma forti della lontananza azzardiamo una telefonata.

Pronto Rubio? Come procede in Giappone?
«Bene. Faccio fotografie, l’altra mia grande passione, e mi riposo. Gli ultimi cinque anni sono stati molto pieni e spezzettati, non mi sono mai fermato. E poi mangio, naturalmente. Qui caschi bene dovunque. Mangio sei volte al giorno e non ho preso un chilo».

Pronto a risalire sul camion in cerca di trattorie?
«Certo. Cercheremo di scovare posti ancora migliori e forse faremo una capatina all’estero, per capire dove vanno a mangiare i nostri camionisti oltre confine».

Si aspettava il successo di «Camionisti in trattoria»?
«Sinceramente no. Avevo fatto altre cose che erano andate bene, ma così no. Merito di tutta la squadra, che ha fatto un lavoro eccezionale e segnale, evidentemente, che le gente ha voglia di posti attenti ai valori che ruotano intorno al cibo e al racconto che c’è dietro».

Ma alla fine si sente di certificare il mito che dove ci sono i camion parcheggiati si mangia bene?
«Oddio, non parliamo di una scienza esatta, ma poco ci manca. I camionisti non si fanno incantare: vogliono essere coccolati con un cibo di qualità e pagare il giusto».

Che cosa è cambiato dopo le prime due stagioni?
«Che prima i camionisti dovevamo andarli a cercare, adesso invece siamo subissati di richieste. Il rovescio negativo è che qualche trattoria sull’onda del successo c’ha “marciato” e ha alzato un po’ i prezzi. E questo non va affatto bene».

Come cuoco ha avuto delle sorprese positive girando per trattorie?
«Tante. In Molise ho scoperto che si può mangiare una cucina di mare fantastica. Lì ho assaggiato una delle zuppe di pesce più buone della mia vita. Rispettosa della qualità della materia prima e con una grande attenzione alla cottura».

Ma se in trattoria si mangia così bene come la mettiamo con la cucina gourmet, i grandi chef e gli artisti del fornello?
«Ma la cucina gourmet e d’élite in qualche modo è figlia delle vecchie trattorie. Dei posti dove c’era l’essenza».

Lei ha denunciato spesso il fare «troppa scena» dell’alta cucina. Però ci sono anche tante false trattorie, quelle con la tovaglia a quadretti che fa tanto rustico e un cibo non adeguato...
«Certo. Ci sono le vere trattorie, sempre più rare, collocate in zone defilate, vicino agli svincoli e quelle dei centri storici, quelle con le luci soffuse e le fiaschette. Quelle per i turisti. Bisogna imparare a scegliere, altrimenti è inutile lamentarsi. È come quando vedo gente che va dal grande chef e si lamenta di aver pagato una pizza e un bicchiere di vino 80 euro. Se entri in certi posti non hai diritto, poi, di stupirti».

Dopo tanto girare ha mai avuto il pensiero di aprire un posto tutto suo?
«Sicuramente. Ma poi, visti i tempi, tutta la confusione che si è creata intorno alla cucina e la poca attenzione che spesso si pone per capire qual è il reale messaggio che il cibo ci consegna, la voglia me la faccio passare. Finirei per litigare. Si può aprire un ristorante e poi litigare con i clienti?».

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