Valerio Lundini: «Mi definite geniale: e allora gli scienziati?»

Tutti i martedì a tarda sera su Raidue intrattiene con il suo show fatto di interviste surreali e... risate

Valerio Lundini
4 Maggio 2021 alle 08:59

Per chi non lo conoscesse, Valerio Lundini è un comico che nelle ultime stagioni ha fatto capolino in alcune trasmissioni Rai. L’ultima è un talk show molto particolare con impresso il suo nome: “Una pezza di Lundini”. Romano, 35 anni portati con l’aria dello studente fuori corso, gli occhiali che sembrano sempre cadergli dal naso, le frasi che da impacciate si risolvono in una surreale presa in giro dell’ospite o della situazione, Lundini, dopo aver colonizzato a macchia di leopardo il palinsesto di Raidue, si è ora guadagnato il “posto fisso” del martedì sera.

Valerio, non mette più una “pezza” qua e là, ora ha un impegno fisso.
«Si tratta di un appuntamento settimanale. Ci siamo ispirati alla rivista “Topolino”, anch’essa esce una volta a settimana. Credo ci siano tanti altri esempi di eventi che si verificano ogni sette giorni, ma al momento mi viene in mente unicamente “Topolino”».

Dopo mesi di “rodaggio”, cosa funziona del programma?
«Ho paura a dirlo, mi piacerebbe non sapere mai le cose che funzionano maggiormente. Il rischio è quello di calcare la mano proprio sui fattori che hanno avuto più successo. È la ricetta per il fallimento».

Quale ospite le ha dato maggiori soddisfazioni?
«Mi sono trovato bene con tutti. Ottimo è stato l’ex calciatore Bruno Giordano, che non conoscevo perché non conosco quasi nessuno di loro salvo i classici come Totti, Del Piero, uno dei due Ronaldo e Alessandro Pane, ex centrocampista dell’Empoli».

Chi le piacerebbe intervistare nei prossimi mesi?
«Joseph Ratzinger».

Cosa gli chiederebbe?
«Scrivo le domande solo quando ho la conferma della presenza dell’ospite altrimenti è un lavoro che mi risparmio volentieri. Sicuramente gli chiederei qual è il miglior album dei Verve (a tale domanda Bergoglio rispose con “Urban Hymns”... prevedibilino)».

Chi non inviterebbe più?
«Non faccio nomi. Ma uno degli ospiti a fine intervista mi è venuto accanto, senza mascherina, e mi ha detto: “Mi sento molto vicino all’esoterismo di alcuni totalitarismi tedeschi del passato. Pensi che sono matto come dicono i medici? La mia è piuttosto libertà!”. Ecco, a me una persona che dice una cosa del genere fa paura».

Lei suona con il gruppo che si chiama I VazzaNikki...
«Con loro suono da una dozzina d’anni, io sono il pianista e talvolta faccio dei cori. Nel programma purtroppo manca Andrea, il cantante ufficiale, che era impegnato con dei documentari su Rai 5 intitolati “Art Rider”. Noi gli avevamo offerto 20 mila lire a puntata e non se l’è sentita, giustamente».

Che genere di musica facevate?
«Suonavamo principalmente beat Anni 60, rock’n’roll Anni 50 e brani nostri scritti spesso durante le prove o improvvisati nei concerti precedenti. Era divertente suonare dal vivo, non lo facciamo da mesi a causa di questo germe che gira parecchio».

Ha invitato in trasmissione Iva Zanicchi, che ha ispirato il nome della band?
«No, mi sono dimenticato. Effettivamente dovrei».

Lei non si scompone mai?
«Una volta feci licenziare metà troupe perché non ero stato truccato a modo. Poi me ne pentii, feci riassumere tutti e diedi loro dei doni natalizi (anche se era luglio). Dalla Rai mi informarono che non avevo fatto licenziare proprio nessuno e che era una normalissima pausa caffè».

Quando ha scoperto di far ridere?
«Forse quando ha iniziato a girare materiale scritto da me e lo hanno visionato persone terze che mi davano i loro giudizi senza passare attraverso il filtro dell’amicizia e della cortesia. Tra i miei amici si è sempre parlato per cavolate e quindi non abbiamo mai pensato che fosse un qualcosa di riconoscibile al punto di farne un mestiere».

Chi sono i suoi “miti”?
«Per dare una risposta elenco alcuni poster che tengo in camera: i Simpson sicuramente fondamentali; gli Oasis, fondamentali altrettanto; i “Blues Brothers”, film carino, di cui fondamentalmente mi importa pochissimo, anche se amo la colonna sonora; “Scarface”, un film che m’è piaciuto ma non al punto da averne in camera un poster, eppure...».

Come mai tutto quello che dice viene definito “geniale”?
«Credo sia un’abitudine degli ultimi anni sostituire con “geniale” varie espressioni come “simpatico”, “in gamba” o anche semplicemente “non mediocre”. Se penso che c’è gente che inventa dei sensori che attaccati a un braccio riescono a far comparire il tuo livello di glicemia sul cellulare, mi pare assurdo che si dica “geniale” a me».

Cosa classifica “non geniale” del suo curriculum?
«Certe canzoni che ho scritto, che mi son tenuto per me e che mi divertono un po’, ma che non farei sentire in giro perché mi paiono sciocche (poi quando le faccio sentire, invece son carine)».

In quale altro ambito le piacerebbe mettere una “pezza”?
«Nel cinema italiano che parla delle “problematiche”».

Da quando è diventato famoso, cosa è cambiato nella sua vita?
«Ho smesso di rispondere al cellulare ai miei amici di prima che non sono famosi. Non credo mi servano più. Ora frequento Fiorello, Fedez, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, Alessandro Borghi e Teresa Mannino. Se mi si buca una ruota della macchina alle tre di notte chiamo Mirko Setaro dei Trettré e so che di lui mi posso fidare».

A chi sente di dover dire grazie?
«Ai miei genitori per il cibo che mi hanno dato gratuitamente negli anni».

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