Viaggio nel cuore delle piramidi con Roberto Giacobbo

Il divulgatore scientifico ha accompagnato Sorrisi tra i tesori dell’Egitto, dove ha girato i nuovi reportage per "Freedom"


22 Maggio 2019 alle 10:05

«In albergo, mi raccomando, non lavarti i denti con l’acqua del rubinetto e tieni la bocca chiusa quando fai la doccia. Non bere bibite con il ghiaccio o acqua che non provenga da una bottiglia sigillata». Mancano poche ore alla partenza e Roberto Giacobbo mi dà le ultime istruzioni al telefono.

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La seconda edizione di “Freedom”, che parte il 22 maggio su Rete 4, in ogni puntata dedicherà un servizio all’Egitto ed è proprio per questo che siamo diretti al Cairo, la capitale. Almeno finché il prossimo anno non sarà inaugurata la nuova capitale amministrativa, che ancora non ha un nome e dista 60 chilometri. In questo modo, ci spiegano, circa 6 dei 22 milioni di abitanti della metropoli si trasferiranno, riducendo (si spera) il traffico da girone infernale e l’inquinamento che rende il cielo color sabbia.

Atterrati all’aeroporto incontriamo Giacobbo, che è appena arrivato da Roma con la sua troupe: «Vi porterò a vedere la Sfinge, con una guida d’eccezione, e la piramide di Cheope» ci anticipa mentre saliamo su una navetta che, scortata dalla polizia, ci porta al Marriott Mena House, uno tra gli alberghi più belli e antichi del Cairo, vicino al quale sta nascendo il museo archeologico più grande del mondo.

Le strade sono meno congestionate del solito. Il sole è tramontato ed essendo il mese del Ramadan a quell’ora i musulmani possono finalmente mangiare e bere. Giunti in albergo, ci si ferma il cuore alla vista delle piramidi di Cheope e Chefren che distano circa 500 metri. Imponenti da togliere il fiato, illuminate per l’occasione, sembrano osservarci e ammonirci. Con loro abbiamo un appuntamento importante il giorno dopo.

Alle 9.30 tutti pronti, zaino in spalla e cappellino griffato “Freedom”, per la prima avventura. Destinazione: la Sfinge. Come ci aveva preannunciato Giacobbo, a farci da guida non sarà lui bensì un “monumento” dell’archeologia: Zahi Hawass. Quando arriviamo lui è già nella “vasca” della Sfinge che ci aspetta. Scendiamo anche noi dove in pochi hanno il permesso di accedere. Davanti alla Stele del Sogno di Thutmosi IV riusciamo a guardare questo monumento negli occhi e a farci rapire dal suo sguardo magnetico. Zahi ci dice che tutte le ipotesi su di lei, come quelle che tirano in ballo gli extraterrestri, sono false. Ci fa vedere gli studi che sta facendo scavando nel terreno, sotto il quale c’è dell’acqua dolce. Ci racconta di quando l’ha restaurata dopo i disastri che avevano fatto alla fine degli Anni 80 usando il cemento. «L’ho tolto e sostituito con una mescola di limo e sabbia, riportandola alla bellezza originale. Ed è tornata a sorridere» conclude Hawass. Salutiamo la Sfinge e Zahi, e andiamo da un’altra signora: la piramide di Cheope.

Non sarà una passeggiata: a metà maggio la temperatura in Egitto raggiunge i 34 gradi (40 percepiti) con il 13% di umidità. Ma è una brezza di montagna in confronto a quello che troviamo all’interno della grandiosa piramide. Giacobbo e i suoi operatori armati di telecamere fanno da apripista. Dopo un urlo di incoraggiamento, ci mettiamo in fila ed entriamo. Il primo tratto in discesa è abbastanza semplice, seppur stretto. Poi arriva il bello. Dobbiamo infilarci in un corridoio di 20 metri, in salita, alto meno di un metro. Per camminare bisogna piegarsi a 90 gradi. Il caldo è soffocante, l’umidità elevata e gli abiti si inzuppano all’istante. I minuti che ci vogliono per percorrere quel corridoio scavato nel granito sembrano ore e la sensazione di claustrofobia sale a ogni passo. Alla fine del corridoio ci aspetta un altro tratto di circa 50 metri, detto la Grande Galleria, stretto ma altissimo, che con una pendenza del 26% ci porta dritti nella Camera del Re. Qui c’è il sarcofago di Cheope, scavato in un unico blocco di granito rosso. Anche le pareti della stanza sono fatte di enormi blocchi di granito posati con una precisione che non ha niente di umano.

La voce di Roberto rimbomba, il caldo è soffocante e abbiamo poco tempo per osservare questa stanza scura e spoglia. I turisti pressano per entrare. Dobbiamo andare via. La discesa è più facile, anche se dobbiamo percorrere il tratto “claustrofobico” camminando all’indietro e alla cieca. In pochi minuti siamo fuori a rivedere il sole, nel rumore della piana di Giza affollata di gente, turisti, venditori, placidi cammelli, cani randagi e cavalli magrissimi che trainano carretti.

Un frastuono che non copre l’emozione che il mistero di questo luogo ha lasciato nei nostri cuori.

**Zahi Hawass:** il suo look ha ispirato Indiana Jones

Zahi Hawass e Roberto Giacobbo ai piedi della Sfinge

L’ archeologo ed egittologo egiziano Zahi Hawass è ritenuto dagli accademici il massimo esperto al mondo di antico Egitto. Soprannominato il “faraone del terzo millennio”, per anni è stato lui ad autorizzare e approvare ogni attività di tipo archeologico nel suo Paese. Appare spesso in tv e nei documentari, e anche in questa nuova edizione di “Freedom” fa da guida a Giacobbo per alcuni servizi (tra cui quello dedicato alla recentissima scoperta di una nuova tomba). Una curiosità: leggenda vuole che il suo cappello abbia ispirato quello del personaggio di Indiana Jones, interpretato al cinema da Harrison Ford.

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Le piramidi di Giza, in Egitto

1. Quando fu costruita, la piramide di Cheope era alta circa 146 metri (oggi circa 139 a causa dell’erosione). I quattro lati sono lunghi 230 metri ciascuno, con una differenza tra di loro inferiore allo 0,1%. È composta da 230 gradini e la pendenza è di 52 gradi.

2. La piramide di Cheope è così grande che potrebbe contenere in volume al suo interno più di 30 volte l’Empire State Building, il leggendario grattacielo
di New York.

3. È stato calcolato che la piramide è stata costruita nel centro esatto della massa terrestre, cioè all’incrocio tra il meridiano e il parallelo che attraversano la maggior parte delle terre emerse.

4. Il perimetro della piramide diviso per la metà dell’altezza dà il risultato di 3,14, che coincide sorprendentemente con il Pi greco. Questo valore, che nasce dal rapporto tra la lunghezza della circonferenza e quella del suo diametro, è stato ufficialmente scoperto molti secoli dopo.

5. Il punto esatto dove sono state costruite le tre piramidi di Giza è l’unico posto in Egitto dove sarebbe stato possibile edificare tre monumenti così vicini e così pesanti senza che il terreno sprofondasse. Le sostiene un gigantesco piano di granito sotterraneo.

6. Le quattro facce della grande piramide guardano esattamente verso i quattro punti cardinali. L’errore del lato nord rispetto al Nord magnetico è insignificante (si tratta dello 0,015%). Giusto per fare un paragone possiamo dire che durante la costruzione dell’osservatorio astronomico di Parigi nello scorso secolo si è voluto edificare un muro esattamente orientato nella stessa direzione ma compiendo un errore superiore del doppio rispetto a quello degli antichi egizi.

7. Gli egizi al tempo della costruzione delle piramidi non avevano ancora inventato il compasso, non avevano scoperto la ruota, non utilizzavano ancora il ferro.

8. Contrariamente a quanto si crede, le piramidi non furono costruite dagli schiavi. Nella piana egiziana di Giza gli scavi hanno infatti portato alla luce tombe appartenenti ai costruttori delle piramidi di Cheope e Chefren, erette circa 4.500 anni fa. Se i lavoratori fossero stati schiavi, non avrebbero potuto costruire le loro tombe a fianco a quelle dei faraoni.

9. È assolutamente proibito arrampicarsi dall’esterno sulla piramide di Cheope. Lo si può fare solo con un permesso difficilissimo da ottenere. Molti sanno che la piramide di Cheope manca della punta. A ricordare l’altezza originale fino a pochi giorni fa si poteva vedere una struttura in legno che però è stata appena rubata. Entro breve ne verrà ricollocata un’altra simile.

10. Il naso della Sfinge non venne distrutto in epoca napoleonica, ma nel 1378 per opera di uno sceicco sufi irritato per i doni che i contadini offrivano alla Sfinge anziché alla sua confraternita. In questo modo ha voluto dimostrare che non era una divinità.

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