Dall'infanzia in Marocco agli schermi della tv. «Desidero far conoscere le culture che convivono in questo Paese. Per me non ci sono argomenti tabù»

Rajae Bezzaz si pronuncia con due «e» finali nel nome e la «zeta» dolce nel cognome. Gli amici la chiamano Rajetta, altri Rajaf, a Napoli il suo nome diventa Rajan. Lei risponde a tutti visto che dalla scorsa stagione è super-popolare essendo stata scelta da Antonio Ricci fra i nuovi inviati di «Striscia la notizia».
Rajae, presentati ai lettori.
«Ho 27 anni e sono berbero-marocchina. Sono così socievole che riesco a parlare anche con le pietre».
Il tuo nome cosa significa?
«Speranza».
Un bell’auspicio.
«Anche perché “la speranza è l’ultima a morire”. Mi piace molto come detto».
Da quanto tempo vivi in Italia?
«Quando avevo cinque anni i miei genitori decisero di trasferirsi in Italia. Di quel periodo ricordo solo mia mamma che diceva: “Non devi mangiare la carne di maiale all’asilo”, allora io la portavo a casa e la davo al nostro cane».
In cosa ti senti italiana e in cosa marocchina?
«Sono un buon miscuglio. L’Italia è il mio Paese, mi appassiona tutto, dalla cucina alla cultura. Mi sento magrebina-araba perché gli africani in generale sono un popolo ottimista, vivono alla giornata e cercano di vedere il meglio».
Se si gioca Italia-Marocco per chi fai il tifo?
«Dico: “Vinca il migliore!”».
La tua prima volta in tv?
«A 17 anni. Presentavo dei programmi nelle tv locali. Ma già da piccola in Marocco avevo fatto teatro. Mi piacciono il palcoscenico, gli applausi, far sorridere la gente».
Nel 2010 hai partecipato al «Grande Fratello». Un modo per farti conoscere?
«Sono stata contattata dalla redazione. Quell’anno la casa del “Grande Fratello” era molto cosmopolita, c’era una ragazza albanese, un italo-giapponese...».
Come sei arrivata a «Striscia la notizia»?
«Avevo girato un video in cui parlavo della carne “halal”, quella macellata secondo i precetti islamici. Il mio obiettivo è far conoscere le varie culture che vivono e convivono in questo Paese».
Gli argomenti dei servizi come ti vengono in mente?
«Lavoro insieme a due autori, Dario Ferrigno e Marco Melloni, riceviamo anche tante segnalazioni. Io smuovo il mondo arabo-islamico che con me si sente in qualche modo rappresentato, mi scrivono molte donne».
Cosa ti scrivono?
«Le donne musulmane che non portano il velo mi scrivono che vengono emarginate dai musulmani più praticanti. Per questo abbiamo trattato la questione del velo».
Tu porti il velo?
«No, non lo porto».
Sei musulmana praticante?
«Faccio il “Ramadan” (il periodo di digiuno praticato dai fedeli musulmani, ndr), dico le mie preghiere, quando riesco vado in moschea».
«Mi faccio un nodo al velo», però, è il tuo motto.
«Per entrare in moschea i primi servizi li ho fatti con il velo e il nodo rappresentava la promessa che ci veniva fatta di cambiare le cose, come dire: “Facciamo un nodo al fazzoletto”».
Cosa ci fai con la bicicletta?
«Nel mondo islamico più ortodosso alla donna non è permesso andare in bicicletta, così a Milano sono stata a fare un corso per donne adulte che vogliono imparare ad andare in bici. Credo che la “lotta” per l’emancipazione grazie alla bicicletta sia una questione culturale».
Le reazioni ai tuoi servizi quali sono state?
«Alcuni pensano che certi argomenti siano intoccabili. Per me non lo sono».
Esiste un programma come «Striscia la notizia» in Marocco?
«No, ma il Marocco ne avrebbe bisogno: è un Paese bellissimo, con tante contraddizioni, “Striscia” potrebbe far luce su tante questioni e aiutare la popolazione. Come fa qua».