Raoul Bova: «Volevo essere un supereroe»

L’attore si racconta nel suo primo libro “Le regole dell’acqua”: «Da piccolo avevo paura di morire ma sognavo di diventare come Jeeg Robot»

Prima di diventare attore (e scrittore), Raoul Bova è stato una promessa del nuoto. Ora è sul set della fiction di Canale 5 “Buongiorno mamma”, per la quale ha perso 20 chili  Credit: © Iwan Palombi
22 Ottobre 2020 alle 09:13

Ci sono momenti nella vita in cui vanno messi dei punti fermi. Raoul Bova lo ha fatto nell’autobiografia “Le regole dell’acqua” (Rizzoli), in cui racconta tanti episodi della sua vita. E li lega a quello che gli ha insegnato l’acqua quando era una giovane promessa del nuoto e a fare l’attore neanche ci pensava.

Raoul, come mai hai sentito l’esigenza di scrivere questo libro?
«Non è una vera autobiografia ma è più una riflessione fatta in un periodo particolare della mia vita: arrivi a una età in cui tiri le somme, provi a organizzare il tuo futuro e a capire cosa vuoi fare da grande (ride)».

Sveli tanto di te. Ti viene più facile farlo per iscritto che a voce?
«È un po’ come fosse un diario. Ho sempre scritto, fin da quando avevo 12 anni: raccontavo gli allenamenti in piscina, le sensazioni, i rapporti con i miei genitori. Era un modo per prepararmi psicologicamente a quello che sarebbe stato il domani. Adesso l’ho fatto per dare voce a una riflessione che avevo dentro da parecchio tempo, e anche perché scrivere un libro era il sogno di mio papà e io sono stato il tramite per realizzare il suo desiderio».

Nel titolo parli di “regole”. Quanto sono importanti per te?
«Se mi guardo intorno vedo quanto sia difficile rispettarle. Eppure in quest’ultimo periodo, in cui una serie di eventi mi ha fatto mancare la terra sotto i piedi, mi hanno salvato: la disciplina, avere cura di me, volermi bene. Se arriva una tempesta che ti travolge, ma sei presente a te stesso, puoi trovare la via per uscirne recuperando lucidità e forza. La disciplina nello sport mi ha insegnato questo».

Nelle prime pagine scrivi: «A 13 anni ero ossessionato dalla morte». Hai capito perché?
«Mi svegliavo di notte perché sognavo che mi accoltellavano o che affogavo. Non so perché. Forse perché da piccolo ho rischiato di annegare in mare o perché mia madre mi portava sempre al cimitero. Poi quella è l’età in cui cominci a farti domande sulla vita e la morte, hai paura di perdere le persone care e di rimanere solo».

In parte hai dato la colpa ai cartoni animati, che in effetti a volte erano tristi. Però volevi anche essere un supereroe come Jeeg Robot: la tv ti ha influenzato fin da allora?
«Sì, tanto. Per noi ragazzini degli Anni 70 la tv e i cartoni erano molti importanti. I protagonisti erano spesso degli orfani come Remì, ma anche degli eroi che dovevano salvare il mondo. E così siamo cresciuti con l’idea di diventare anche noi dei supereroi».

Non pensavi che un giorno saresti “entrato” dentro la televisione?
«No, assolutamente! Anche perché il mio obiettivo era diventare come Jeeg Robot e combattere contro il male».

Alla fine un po’ lo sei diventato?
«Forse ne parlerò nel prossimo libro: ormai ci ho preso gusto a scrivere e ho già messo giù una traccia. Vorrei raccontare il concetto del supereroe: un’entità che ti ispira ma sai che non potrai mai essere. Tutti da piccoli ci confrontiamo con una figura di riferimento, vogliamo diventare qualcun altro, ma spesso ci sentiamo inadeguati. Invece la cosa bella è che i superpoteri li abbiamo tutti, dobbiamo solo scoprire quali sono».

Nel libro parli anche della tua paura di perdere e di vincere. Come hai trovato l’equilibrio?
«Si trova nel momento in cui ti togli di dosso la responsabilità di dover salvare il mondo. Noi nelle piccole azioni, nel modo di essere e comportarci, già facciamo molto. Se ci mettiamo un carico eccessivo, si rischia di soffrire di ansia da prestazione, si ha paura di vincere perché così gli altri perdono ma se perdi tu magari gli altri non ti vogliono più bene».

Come è successo a te?
«Da piccolo, prima di avere troppe responsabilità, tiravo fuori le mie qualità migliori. Poi quando ho iniziato a fare nuoto, la paura e l’ansia mi facevano arrivare alle gare stremato. Invece bisogna essere se stessi, non fare le cose per compiacere gli altri. Oggi mi ha aiutato molto tornare a nuotare, dopo un periodo difficile in cui avevo perso mamma e papà a distanza di un anno e mezzo, e il lavoro non andava troppo bene perché stavo male: mi ero rotto una gamba e tra cure e fermo forzato ero ingrassato di 20 chili. Ora mi alleno tutti i giorni, vado a nuotare alle 5 del mattino e alle 7 sono sul set felice e pieno di energia».

Il libro si conclude con un obiettivo: stabilire il record mondiale di staffetta master 4x4 insieme con Filippo Magnini, Massimiliano Rosolino ed Emiliano Brembilla. A che punto siete?
«Quando hanno scagionato Filippo dalle accuse di doping, ci è tornata la voglia di buttarci in acqua e ci siamo detti: “Non diamoci date, alleniamoci ognuno per se stesso perché quella gara aiuterà ognuno di noi”. Può essere che per i miei 50 anni, o prima, la gara la faremo come uomini maturi che hanno ragionato sulle cose importanti della vita».

Hai altri obiettivi per il futuro?
«Andare in giro a promuovere il libro perché contiene messaggi importanti. Poi uscirà la serie “Buongiorno mamma” e a quel punto sarò pronto a buttare giù un film tratto da questo libro. Vorrei concentrarmi sull’idea della staffetta e aggiungere la vicenda di Manuel Bortuzzo (il giovane atleta rimasto paralizzato dopo una sparatoria nel 2019, ndr). Potrebbe essere che a interpretarlo saremo noi stessi».

Insomma, adesso stai bene?
«Sì, sto bene e mi sono ritrovato. Sono sempre in piacevole compagnia dei miei genitori. Accettare con il sorriso quello che arriva dalla vita, nel bene e nel male, è la cosa più importante»

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