Donatella Rettore: «Sono sempre la stessa, splendida splendente»

La coach più effervescente dello show di Amadeus, Ora o mai più, si racconta a Sorrisi

Donatella Rettore  Credit: © Stefano G. Pavesi
25 Gennaio 2019 alle 09:45

«Non capisco perché / tutti quanti continuano /stramaledettamente / a chiamarmi Donatella / Ho Ho bella!» cantava lei nella hit più ballata dell’estate 1981. E oggi che “Miss Rettore” è la coach di un’altra Donatella, la Milani, nel programma di Amadeus del sabato sera di Raiuno “Ora o mai più”, la cautela è duplice... Come rivolgersi alla cantautrice veneta, monumento della musica leggera italiana, senza urtare la sua effervescente suscettibilità?

Donatella o Rettore: che appellativo preferisce?
«Intanto dammi del tu, altrimenti mi sento antica. E poi chiamami “Dona” o “Dada”. Perché in Italia c’è un brulicare di Donatelle. La cantante Donatella Moretti, la stilista Donatella Versace, l’attrice Donatella Finocchiaro, Le Donatella (Giulia e Silvia Provvedi, ndr), che si chiamavano così in mio onore. Non finiamo più con l’appello».

Dona, dunque. Con la tua allieva Donatella Milani, oltre al nome, cos’hai in comune?
«Geograficamente poco, perché lei è toscana e io di Castelfranco Veneto. Musicalmente, siamo due cantautrici».

Caratterialmente?
«Siamo entrambe nervose. Dipende dalla gavetta che abbiamo fatto. Io ne ho fatta più di Mina, per dire. Ma siamo adulte adesso. Non è come a 20, 30, 40 anni, ormai neanche più a 50. Lei a 55, io a 63, “sclerare” è un attimo, sai?».

Nel 1983, quando la Milani arrivava seconda a Sanremo con “Volevo dirti”, tu cantavi “Io ho te”. Per molti è stato l’apice della tua carriera.
«Io l’apice non l’ho ancora raggiunto. Ho appena chiuso un tour e ho già pronto un album nuovo. Arriverà quest’estate e lo lancerò da New York».

“Ora o mai più”, insomma.
«Mi piace il titolo dello show, perché vuol dire che si dà la possibilità a chi ha sbagliato qualcosa nella carriera, o non è stato fortunato, di non lasciare l’ultima possibilità al destino ma al pubblico. Noi coach non dobbiamo insegnare nulla agli allievi, ma solo incoraggiarli a non ripetere gli stessi errori. Io ho fatto tanti sbagli in passato. Ma mica posso dire alla Milani: “Fai questo o fai quello”. Non è una ragazzina e il nostro non è un talent. I talent sono una piaga sociale. E, per carità, non parliamo di meteore».

Avevi già detto come la pensi nel brano “Meteora”, uscito nel 1981.
«Appunto. “Chissà se durerò nel cielo fra le stelle, se non sono una striscia che taglia l’orizzonte... Io sono bionda come mi vuole la storia”» (canta).

Cos’è la tua “bionditudine”?
«C’è il biondo Monica Vitti, il biondo Virna Lisi, il biondo Marilyn. Essere bionda, dentro e fuori, per me è cercare forza nella fragilità».

Esprimi forza e fragilità in tanti tuoi successi: “Lamette”, “Kobra”, “Kamikaze Rock ‘n’ Roll Suicide”.
«Quei brani esprimono l’incoscienza di un animo giovane. C’è sempre uno sberleffo, una pernacchietta dentro. Se pensi a quelli di Sfera Ebbasta, i miei oggi sono testi da educande (ride). Però Eminem a “Kamikaze” c’è arrivato l’estate scorsa, io ci rimuginavo già nel 1982».

Quest’anno il Teatro Ariston pullula di giovani.
«Giusto. E Claudio Baglioni farà ancora meglio nel 2020».

Delle tue quattro partecipazioni al Festival, quale ricordi con gioia?
«L’ultima, nel 1994, con “Di notte specialmente”. Mi ricordo una cioccolata calda fondente buonissima ed ero così rilassata che andai pure al cinema a vedere “Philadelphia” con Tom Hanks».

La volta precedente, nel 1986, litigasti in diretta con Marcella Bella...
«Mica solo con lei. A Toto Cutugno dissi che era “il Celentano dei poveri”. Ero storta, non ci volevo andare, me lo impose la casa discografica. Ma la canzone “Amore stella” l’ho cantata di pancia. Soprattutto il verso “Per quanto il mondo sia cattivo con te un gioco ne farei”. Cavolo se me ne sono accorta, che il mondo è cattivo».

Marcella e Cutugno ora sono colleghi coach nella trasmissione.
«C’è pure Bruno (Red Canzian, ndr), veneto come me. Io della provincia, lui della città, Treviso. Da ragazzi ci esibivamo in piccole band, dei complessini, ma lui in discoteca, io nella parrocchia “Pio X”. Dicevo “Pio-ics”, non Pio decimo. Una X che al confronto quella di “X Factor” è niente».

Di lì a poco iniziasti con Lucio Dalla, come spalla nel suo tour estivo del 1973.
«Lucio mi ha insegnato tanto. Anche a rispettare la natura. Amava il mare, oh se lo amava! In vacanza gli dicevo: “Lucio, tu con la barca lo inquini”. E lui: “Catarro non inquina”. Aveva battezzato la barca “Catarro”! Era ironico, con il gusto del sorriso. In tv ridevamo molto».

Oggi chi ride di gusto in tv?
«Mara Venier. La amo perché le piace ghignare. Altri frignano troppo. Le lacrime andrebbero usate con parsimonia, come si faceva negli Anni 80».

Cos’altro ti manca degli Anni 80?
«Le spalline, la moda esagerata».

È vero che la madre di Elton John ti rubava i vestiti?
«No, ma li guardava con desiderio e io glieli regalavo. L’ho conosciuta a Londra. Elton John aveva scritto per Frank Sinatra “Remember”, ma poi la cantai io, perché lui non la voleva. Così la incontrai. Amava le mie calzamaglie, gli occhialoni, un cappotto giallo... Era una signora splendida splendente. Proprio come mia suocera, che adoro, scrivilo: si chiama Maria e ha 100 anni!».

Per questo il tuo amore con Claudio Rego, coautore di tante tue canzoni, dura da oltre 40 anni? Perché vai d’accordo con la sua mamma?
«Sono 42 anni insieme. Anche se l’ho sposato solo nel 2005. Il segreto è condividere le passioni. Per noi sono la musica, i cani, i viaggi... Ma anche il fatto che mi porta il caffè a letto ogni mattina conta. Vero, amore mio?».

E Claudio Rego, sempre al fianco della Rettore, annuisce con dolcezza, mentre i tre Border Collie della coppia (Lupo, Orso e Collins) scodinzolano felici, in segno di approvazione.

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