La conduttrice di “X Factor” è un fiume in piena, tra concerti, podcast e libri: «Mi esprimo con tante sfaccettature diverse»
Si è rigenerata nella sua Bassano del Grappa dopo i problemi fisici che quest’estate l’avevano costretta a sospendere il tour. Ma ora Francesca Michielin è pronta: dal 26 ottobre partono su Sky Uno (e in streaming su Now) i live di “X Factor” (cioè le puntate in diretta, dopo la fase iniziale registrata mesi fa) e la ritroveremo alla conduzione.
Conduce per il secondo anno, è una veterana!
«Diciamo che quest’anno sono più serena, è un ambiente che conosco. Nel mio mestiere è importante fare sempre cose diverse, però l’anno scorso mi sono trovata davvero bene e divertita tantissimo. È un impegno che mi stimola».
Che rapporto ha con i quattro giudici?
«La squadra mi piace molto. Amo il fatto che ci sia Dargen, che reputo uno dei migliori cantautori italiani. È una persona con una grande cultura musicale, sa intercettare cosa può piacere al grande pubblico e allo stesso tempo è una persona raffinata: ai ragazzi e al programma può dare molto. Abbiamo anche collaborato per “Chiamami per nome” (portata a Sanremo 2021 in coppia con Fedez, ndr), quindi con lui ho un rapporto anche artistico. Morgan faceva già il giudice nel 2011, quando ero concorrente, quindi è divertente averlo di nuovo davanti anche se stavolta i giudizi non riguardano me. Fedez lo conosco da sempre, abbiamo fatto tante cose insieme, mentre Ambra la vedo molto agguerrita quest’anno. La fragilità che a volte ha mostrato l’anno scorso è diventata la sua forza, la sua energia. E non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Il suo ritorno è importante: almeno una donna in giuria, cavoli! E che donna!».
Sono passati dodici anni di carriera da quel 2011. Ne è soddisfatta?
«Dodici anni di percorso non sono tanti, ma neppure pochi. Ho fatto di tutto, e tutto quello che ho fatto ho cercato di farlo bene. Ho puntato più sull’aspetto qualitativo che quantitativo. Magari potrei ambire a qualcosa in più a livello quantitativo, però ho fatto sempre quello che mi piaceva ed è stato appagante. Sì, sono molto soddisfatta».
Musica, conduzione televisiva, un libro, il podcast “Maschiacci”, giunto alla terza stagione. Sembra che fare solo la cantante non le basti...
«Mi viene istintivo. Il mio modo di esprimermi comprende una pluralità di sfaccettature. Io utilizzo sempre l’aggettivo “prismatico”. Non a caso quello che considero il mio primo vero disco, “di20”, ha sulla copertina un icosaedro, il solido a 20 facce. Della serie: non sono un quadrato o un cerchio, sono tante, tante cose. Penso che solo in Italia abbiamo questo problema di voler definire l’artista. All’estero è normale che si facciano più cose, mentre qui sembra che tu sia confuso, che non sappia bene quello che vuoi fare. Io, per esempio, ho scritto un libro perché volevo scriverlo, non perché “bisogna” scriverlo. Che poi era un romanzo di quasi 300 pagine... Tutto quello che faccio lo faccio perché ho bisogno di esprimermi. Se avrò la fortuna di riuscirci, cercherò di esaudire tutti i desideri che ho in saccoccia».
Da “X Factor” in poi lei ha molto sperimentato. Alle musiciste donne quanto è concesso farlo?
«Non molto, a dire il vero. E poi c’è anche questa tendenza di mettere le artiste l’una contro l’altra. Ed è la difficoltà più grossa. Crescendo devi estirpare questo virus maschilista che ti iniettano, di cui sei portatrice sana: vivi la tua vita mettendoti in competizione con le altre perché lo spazio per le donne è talmente stretto che sembra quasi che si debba spodestare qualcun’altra per starci».
Quanto è diverso fare musica da professionista, rispetto ai sogni che faceva in cameretta?
«Tanto. Però io mantengo lo stesso spirito. È chiaro che sono diventata più responsabile, più consapevole, però allo stesso tempo sono ancora quella ragazza lì. Il mio lavoro ha molte responsabilità e a volte è meno poetico di quello che si pensa o che vorrei, ma una cosa che mi alleno a fare tutti i giorni è difendere quella poesia, quella artisticità, anche con i denti. Non rinuncerò mai a fare una cosa bella perché bisogna fare la cosa “giusta” per gli altri».
Che tipo di famiglia è la sua?
«Una normale famiglia veneta: padre falegname, madre ragioniera. Mi hanno sempre supportato: “Non fare mai scelte solo per i soldi, piuttosto ti aiutiamo noi!”. Per ora sono riuscita a farlo e sono molto contenta di avere preservato quell’animo di 16enne».
E Filippo, il fratello maggiore che l’ha avviata alla musica?
«Ha dieci anni più di me e grazie a lui ho avuto la possibilità di accedere ai classici della musica. Lui ama studiare, ha quattro lauree ed è un maestro elementare. Però continua a fare musica, soprattutto produzione. Spero che torneremo a collaborare, appena possibile».
Essere “provinciali” può aiutare?
«Si dice che la provincia alimenti la “fame”, la competizione, la voglia di farcela a ogni costo. Io, però, non ce l’ho proprio quella cosa lì. Non credo nella competizione: toglierei i numeri degli ascolti da Spotify, non pubblicherei le classifiche, comunicherei i Dischi d’oro solo agli artisti, lascerei del tutto fuori il pubblico dal gioco discografico. Tutto questo scoraggia gli artisti dal fare cose veramente belle, li porta a fare solo quello che “devono” fare».
Una cosa bella che la aspetta in futuro?
«I miei sabati all’Arca di Milano, dal 28 ottobre. Uno spazio in cui potrò fare musica pura e parlare di quello che voglio. Il fatto che tanta gente stia comprando i biglietti mi gasa molto».