Ludovico Tersigni: «E ora l’”X Factor” ce l’ho io»

Il 16 settembre debutta su Sky Uno la 15ª edizione del talent musicale. Non ci sarà più Alessandro Cattelan

Ludovico Tersigni
10 Settembre 2021 alle 08:22

Il 16 settembre debutta su Sky Uno la 15ª edizione di “X Factor”. Prodotta da Fremantle, presenta due importanti novità: la prima è che i quattro giudici possono comporre le proprie squadre a piacimento (solisti o band, senza limiti di età o sesso); la seconda, forse la più evidente, è che, dopo dieci anni, a condurre non ci sarà Alessandro Cattelan, ma Ludovico Tersigni.

Attore di lungo corso nonostante la giovane età, ha recitato al cinema per registi come Diego Bianchi (lo Zoro di “Propaganda Live”), Gabriele Muccino e Andrea Molaioli, ed è stato protagonista in tv delle serie “Tutto può succedere” (Raiuno), “Skam Italia” e “Summertime” (Netflix).

Ludovico, ti hanno definito «il nuovo frontman» di “X Factor”.
«Il “frontman” di una band è quello che deve affrontare il pubblico e le difficoltà per primo, proteggere i componenti del gruppo. Io sono un araldo, un ambasciatore che presenta i guerrieri in cerca della vittoria. E devo dire che i ragazzi sono tutti all'altezza del combattimento».

Il “frontman” è il volto della band. Tu che volto sarai?
«Cercherò di essere quello che sono, un ragazzo di 26 anni, appassionato di musica, di cinema, di teatro, che legge, ascolta, vive nel mondo, si informa per quanto possibile, porto sul palco il frutto di un lavoro che è stato fatto a monte».

Quale lavoro?
«Condurre non è soltanto: “Buonasera a tutti!”, devi amministrare un tempo che ti è dato per spiegare delle cose al pubblico in sala e a casa e magari dietro di te stanno montando una scenografia. È la prima volta che lo faccio, ci saranno delle défaillance, piccole o grandi imperfezioni, ma saranno il frutto di grande sincerità».

Avrai il compito di sostituire Alessandro Cattelan, per dieci anni alla guida del programma.
«“Sostituire” è il verbo sbagliato. Non è come quando un allenatore vede un giocatore che sta giocando male e lo cambia, ma è proprio la fine di un momento, un giocatore finisce di giocare una partita ed entra in campo un altro giocatore per un'altra partita».

Cosa ti hanno chiesto al casting ?
«Ho dovuto presentare la puntata finale di “X Factor” dell'anno scorso».

La puntata più difficile.
«Se fai la cosa più difficile poi, secondo me, sei in grado di fare anche le altre. Non cercavano il conduttore perfetto, ma quello nuovo e giovane».

A Sky Italia dicono che ti hanno scelto per «l’autenticità, la freschezza, il fervore creativo dei vent’anni».
«Sono qualità che ho sempre cercato di alimentare, ma non sai mai se stai sbagliando finché qualcuno non dice: “Okay, va bene”. Quel “fervore creativo” è voglia di sentirsi vivi. Quando un artista crea, vuole un po' cambiare, togliere dal suo bagaglio una serie di emozioni e metterne altre».

Qui che emozione volevi mettere?
«L'emozione della rinascita. Tu puoi anche vederti con occhi diversi, ma finché il cambiamento non è reale e gli altri non ti guardano con occhi diversi sembri matto. A me piace evolvermi, avere un obbiettivo, raggiungerlo, respirare e poi darmene un altro. All'estero ci sono tanti “cross over”: attrici che presentano, cantanti che recitano, attori che fanno i registi, sceneggiatori che si lanciano nella regia».

“X Factor” lo seguivi o sei uno che non guarda la tv?
«La tv la vedo, vedo tanti film e tante serie. Di “X Factor” ho visto la prima edizione con mio papà, facevo ancora le scuole medie, le prime edizioni le ho viste tutte, poi magari ho saltato qualche anno. Mi ricordo Lorenzo Licitra, i Soul System, Matteo Beccucci. Non sono stato un fan fedele, però appassionato».

Cosa ti appassiona di questo talent?
«Il fatto che soprattutto negli ultimi anni i concorrenti, i musicisti, portano pezzi di loro produzione. Ci sono artisti emergenti che non hanno spazio per esprimersi e lì invece vanno in onda in tutta Italia, è un passaggio importante».

Anche tu suoni basso e chitarra in una band.
«Mio papà suonava la chitarra, mi ha insegnato lui. A 19 anni suonavo dalla mattina alla sera, un giorno andai a comprare una chitarra nuova e vidi appeso al muro un basso usato incredibile a cinque corde. Costava 1.200 euro, tornai a casa e per due settimane lo sognai tutte le notti. Quando tornai al negozio c'era ancora e lo presi».

Cosa suonavi?
«Al liceo rock, funky, metal, tutti i grandi, dai Led Zeppellin ai Pink Floyd, dai Rage Against the Machine ai Pearl Jam. Ora anche progressive, musica psichedelica ed elettronica».

Mai pensato di partecipare a un talent?
«Certo, ma non avevo mai il coraggio, è una situazione in cui ti metti davanti a un pubblico molto vasto. Noi siamo ancora una garage band con gli amici del liceo, non abbiamo mai fatto serate».

Tu arrivi con un curriculum da attore. Hai cominciato a recitare presto.
«Alle elementari ho fatto il primo musical, poi alle scuole alle medie c'era sempre lo spettacolo di fine anno. Recitare mi rilassava, era un'attività che ho portato avanti al liceo, il pomeriggio ci ritrovavamo in un'aula che la scuola ci dava a disposizione e mettevamo in scena degli spettacoli amatoriali».

Dalle recite della scuola alla professione come è accaduto?
«A un certo punto ci siamo detti: “Abbiamo quattro spettacoli pronti, perché non facciamo un tour?”. E lo abbiamo fatto: ad Anzio, Nettuno, nei posti limitrofi, nei piccoli teatri di parrocchia, è stato un percorso molto formativo. Io avevo 15 anni, sono quelli gli anni che ti cambiano la vita, cercavo di imparare, e la faccio ancora».

È stata una folgorazione?
«Fu quando a Tiziano Caputo, che ora insegna recitazione, una sera durante lo spettacolo “Notre-Dame de Paris”, dove lui interpretava Frollo, andò via la luce, si staccò l'audio, non si vedeva e sentiva nulla. Ma lui continuava a cantare a cappella nel buio. Lì ho capito cosa significa andare dritto per la tua strada».

Tra i primi lavori il film “Arance e martello” di Diego Bianchi, in arte Zoro, che poi è tuo zio.
«Lui è il compagno della sorella di mia mamma, è un grande amico e un grande faro, è stato fondamentale in alcuni passaggi della mia vita. Quando mi offrì la parte gli risposi: “Non sono in grado”. Ma la mia cuginetta Anita, all'epoca aveva sei anni, mi disse: “Se non fai il provino per papà non ti parlo più”. E accettai. L'esordio fu molto divertente, entrai in scena e dissi: “Ciao zì!”».

E dopo lo zio?
«Al Festival di Venezia sono stato notato da Vittoria Pistoia, che ha una grossa agenzia a Roma, Sosia&Pistoia, mi chiamarono per un provino. “Sono iscritto all'università, devo prendere la laurea, non posso”. Mi ero iscritto a Scienze Politiche, la facoltà di quelli che non sanno quello che vogliono fare nella vita. Poi, però, mi dissi: “Facciamo un tentativo” e feci il provino».

Da lì è arrivato Gabriele Muccino, Andrea Molaioli, le serie Netflix “Skam Italia” e “Summertime”…
«Tempo fa ho parlato con Valerio Mastandrea e mi ha dato una grande lezione di vita. Mi disse: “Quando ho iniziato a fare l'attore dopo dieci anni mi sono accorto di quello che facevo e ho detto per la prima volta: Sono un attore”. Io devo aspettare altri due anni per dirlo».

Ora come ti definisci?
«Un libero professionista, un free lance».

Ti senti famoso?
«Ho un pubblico abbastanza vario. A volte mi fermano signori di ottant'anni e mi dicono: “Mi ricordi mio nipote, andavi a scuola con lui?”. E io: “Magari ha visto la serie Tutto può succedere su Raiuno?”. Oppure ti riconoscono e non sanno nemmeno loro per cosa. Certo il pubblico molto giovane mi conosce per “Skam” e “Summertime” dove ho avuto un po' più di visibilità».

Com'è che non hai un profilo su Instagram?
«Prima ce l'avevo, contavo 400 mila follower, poi l'ho chiuso. Il mio è un gesto politico, un messaggio: concentriamoci sulla solidità di quello che facciamo, non cerchiamo di ostentare qualcosa che non abbiamo».

Non eri concentrato?
«Perdevo un sacco di tempo, passavo anche due ore a guardare un sacco di cose che non mi interessano. Con i social spesso le persone stanno chiuse a casa e non fanno più cose. Poi ognuno è libero, io sarò pure libero di non usarlo! Preferisco fare una bella intervista piuttosto che una storia su Instagram».

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