Renzo Arbore ricorda De Crescenzo: «Quante risate con il mio amico Luciano»

Il suo amico di sempre se n’è andato da poco. Eppure Arbore trova comunque la forza di condividere i suoi ricordi con Sorrisi

De Crescenzo e Arbore nell’83. «Una sera a cena a casa di Luciano» ricorda Arbore «nacque l’idea di “Tagli, ritagli e frattaglie“»
24 Luglio 2019 alle 09:45

Il suo amico di sempre se n’è andato da poco più di 24 ore. Eppure Renzo Arbore, che con Luciano De Crescenzo ha condiviso un tratto di vita privata e professionale lungo oltre 50 anni, trova comunque la forza di condividere i suoi ricordi con Sorrisi.

Lo fa poco prima di entrare nella camera ardente allestita al Campidoglio, a Roma, per consentire a parenti, amici e a semplici cittadini di dare l’ultimo saluto al papà di “Così parlò Bellavista”, all’intellettuale, filosofo e umorista autore di best seller entrati nel patrimonio culturale del nostro Paese.

Come vi eravate conosciuti?
«All’inizio degli Anni 70. Luciano era un tipo eccezionale, il più bell’uomo di Napoli: atletico, biondo e con gli occhi azzurri, appassionato di sport, socio dei circoli più prestigiosi. E poi era laureato in Ingegneria… Andammo subito d’accordo».

Che cosa avevate in comune?
«Mi vengono in mente l’autoironia, un certo modo disincantato e beffardo di vedere le cose, ma soprattutto la passione per la napoletanità: quella che io ho sempre avuto pur essendo nato a Foggia e che lui invece incarnava a pieno titolo. Ma l’elenco di elementi in comune sarebbe troppo lungo…».

È vero che divideste anche una fidanzata?
«Sì, è una storiella curiosa, ma di poca importanza: scoprimmo per caso, durante una cena, di essere all’insaputa l’uno dell’altro il fantomatico “amico” per cui questa ragazza abbandonava ogni volta uno di noi dicendo che andava a Napoli da “Luciano” o a Sorrento “da Renzo”. Appena ce ne rendemmo conto, decidemmo di mollarla».

E non litigaste?
«Mai. Con Luciano non abbiamo mai litigato in tutta la nostra vita. Preferivamo impiegare il tempo a ridere, scherzare, confrontarci su tutto, farci venire idee, coinvolgere altre teste pensanti che ci potessero stimolare nei nostri processi creativi».

Le vostre serate tutti insieme divennero presto un appuntamento fisso…
«È vero. La sua casa era una fucina di progetti per film e programmi tv, ne sfornavamo a getto continuo. In quelle occasioni, per esempio, decidemmo insieme i ruoli che avrebbe dovuto avere nei miei film “FF.SS.” e “Il Pap’occhio”. E sempre a cena a casa di De Crescenzo saltò fuori l’idea di “Tagli, ritagli e frattaglie”, una sorta di “Techetechete’” ante litteram in cui io facevo la parte del conduttore burlone e un po’ tonto, lui di quello più serafico e bonario in puro stile napoletano che si fa scivolare addosso le cose. Fu il debutto televisivo di Lory Del Santo».

Avevate mai pensato a un programma che portasse la filosofia al grande pubblico televisivo?
«In realtà no. Luciano è stato un grandissimo divulgatore della filosofia attraverso tante altre sue opere, libri e film su tutto. Tra noi ci si divertiva a immaginare sketch, a organizzare ospitate, a mettere su incursioni inaspettate nei programmi altrui».

Qual era la caratteristica che amava di più in De Crescenzo?
«La bontà vera, non di maniera. Luciano non ha mai parlato male di nessuno, nonostante tanti nel suo ambiente lo sottovalutassero, in certi casi lo considerassero di Serie B, quando invece era un vero intellettuale, esponente di una generazione straordinaria capace di sfornare talenti come Raffaele La Capria, Antonio Ghirelli, Riccardo Pazzaglia. Ma di lui mi ha sempre colpito molto anche la capacità di eccellere in tanti campi diversi: la sua passione per l’attività di cronometrista lo aveva portato a essere quello ufficiale durante i 200 metri in cui Livio Berruti vinse l’oro olimpico a Roma 1960. Era fissato con la motonautica e vinceva gare su gare. Scriveva libri e vendeva milioni di copie. Dirigeva o interpretava film e riceveva soltanto apprezzamenti».

Avrà avuto un difetto…
«Eccome. Lo prendevamo continuamente in giro chiamandolo “o’ pidocchioso”, che a Napoli si usa per le persone un po’ attente al denaro. Non era avaro in modo maniacale, ma stava attento alle 100 lire, per questo noi amici lo ricoprivamo di sfottò, mentre lui se la rideva sotto i baffi perfettamente consapevole di quanto avessimo ragione».

Qual era l’aspetto meno napoletano di De Crescenzo?
«Sarà stato il fatto di aver lavorato a lungo come ingegnere a Milano, ma se gli chiedevi se fosse devoto a questo oppure a quel determinato santo, lui rispondeva sempre nella stessa maniera: “Io sono ingegnere”. Credo sia l’unico napoletano non superstizioso».

Gli ultimi giorni devono essere stati molto duri. È riuscito in qualche modo a strappargli un sorriso?
«Un sorriso purtroppo no, ma qualche cenno di soddisfazione e conforto sì: tutto merito di Salvatore Di Giacomo, l’autore di canzoni napoletane che amava. In ospedale gli ho fatto sentire con il mio iPad “Serenata napulitana”, “Era de maggio” e tutte le altre. L’ultimo regalo a un amico vero».

I SUOI LIBRI IN EDICOLA CON SORRISI!

Laureato in Ingegneria a Napoli, Luciano De Crescenzo si trasferì a Milano e lavorò per 20 anni all’Ibm prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. La sua prima opera, “Così parlò Bellavista“, “lanciata“ da Maurizio Costanzo nel talk show “Bontà loro“, fra il ‘76 e il ‘77 vendette più di 600 mila copie e fu tradotta anche in giapponese, diventando un vero e proprio caso letterario. E comincia proprio con “Così parlò Bellavista“ la straordinaria collana di 22 volumi in una prestigiosa edizione da collezione con cui Sorrisi rende omaggio a De Crescenzo. Ogni settimana dal 6 agosto in edicola con il nostro giornale troverete un volume a 6,90 euro, rivista esclusa.

Seguici