Sandro Piccinini: «Fare il telecronista è un lavoro a rischio: mi hanno pure arrestato!»

È tornato in televisione su Sky. E racconta a Sorrisi gli aspetti meno conosciuti della vita del telecronista sportivo...

Sandro Piccinini  Credit: © Marco Piraccini / Mondadori Portfolio
16 Ottobre 2020 alle 09:10

Sandro Piccinini è tornato in tv dopo un lungo riposo “sabbatico”. Niente “sciabolate”, marchio lessicale delle sue telecronache, ma tanti viaggi in giro per il mondo per il puro piacere di visitare finalmente i luoghi e non gli stadi. Chiuso il suo ultra trentennale rapporto con Mediaset, è passato a Sky col ruolo di opinionista a “Sky Calcio Club” la domenica sera, in onda dopo il posticipo e capitanato da Fabio Caressa. Libertà totale in cambio di un solo obbligo: togliersi la giacca nella seconda parte della trasmissione, a mezzanotte.

Che cosa ti ha portato a questa scelta?
«Dopo due anni è finito il letargo. Era stata una mia scelta, mi sono goduto nuovi tempi e situazioni, e non mi pento di essermi fermato. In questi due anni avevo avuto diverse di proposte, questa però era quella giusta, che mi stimolava».

Con le telecronache hai chiuso definitivamente?
«Direi di no. Io ho firmato solo per un anno, come è mio costume dal 1996, quando mi dimisi da dipendente Mediaset per continuare a lavorare come freelance. Non mi piace legarmi e poi voglio che anche l’azienda a fine anno sia contenta. Mentalmente mi piace l’idea di potere cambiare, di avere diverse possibilità. “Controcampo” l’ho fatto per dieci anni, ma se all’inizio mi avessero proposto un contratto di dieci anni sarei scappato. Invece alla fine ho fatto 400 puntate. In quanto alle telecronache, l’anno prossimo si ridiscutono i diritti tv e ci potrebbero essere novità, l’ingresso di nuovi soggetti. Staremo a vedere».

Sei figlio di un calciatore, Alberto Piccinini. Il calcio era nel tuo destino.
«C’ho pure provato a fare il calciatore, ci ho creduto tantissimo».

In che ruolo giocavi?
«Numero 10. Trequartista. Molto tecnico e poca corsa. I miei idoli erano Omar Sivori e Gianni Rivera. Finché c’è stato mio papà che mi guidava sono stato convinto che avrei fatto quella cosa lì. Poi, a 14 anni, ho perso lui ed è stata una botta tremenda. Senza di lui ho perso anche un po’ di fiducia».

So che anche Nils Liedholm ha contribuito...
«Mio papà aveva giocato nel Milan di Liedholm e mia madre mi procurò un provino con lui che all’epoca allenava la Roma. Fu squisito, mi allenai con la prima squadra, ero convinto di avere giocato benissimo e alla fine lui mi chiamò e mi disse: “Sei bravo a scuola? Bene, continua a studiare, troverai certamente un bel lavoro. Calcio è difficile. Calcio è per pochi”».

La passione per il giornalismo da dove nasce?
«Avevo letto dei manuali, mi piaceva la materia, ma non pensavo al giornalismo sportivo. Pensavo alla carta stampata, non c’erano ancora le tv locali».

Che poi sono state determinanti.
«Si capì subito che all’interno delle locali era il calcio che poteva fare la differenza, era la cosa che tirava di più. Ma erano tempi pionieristici, le società non ci facevano entrare allo stadio e bisognava inventarsi dei modi: facevamo le telecronache dai terrazzi, in mezzo al pubblico con le ricetrasmittenti, dalla collina di Montemario col binocolo... di tutto».

Il telecronista modello?
«Il mio idolo è stato Enrico Ameri, un radiocronista, la prima voce di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Era in sintonia coi rumori di fondo e la cosa che mi colpiva era che quando sentivo lui mi entusiasmavo, poi vedevo la partita in tv e mi addormentavo. Non riuscivo a capire. Era proprio palpitante il suo tono, il suo ritmo, mentre in tv vedevi queste partite noiosissime. Ho cercato di portare quello stile lì nella telecronaca, quella partecipazione emotiva e quel ritmo».

«Sciabolata», «Non va», hai creato un vocabolario.
«Certi termini rimangono. A me rimproverarono “sciabolata”. Un critico disse che lo dicevo dieci volte a partita. A parte che non è così, parlavo 100 minuti e a volte certi termini si rivelano efficaci. Inutile essere didascalici, la gente vede. I telecronisti parlano troppo. Invece dici “mucchio selvaggio in area” e tutti capiscono».

Il fiore all’occhiello della tua carriera resta “Controcampo”.
«Ha cambiato tutto a livello di popolarità: facevamo il 20% di share, battevamo regolarmente “La Domenica Sportiva” e l’ultimo anno addirittura la doppiavamo».

In tanti anni di trasferte ti è successo di tutto. T’hanno pure arrestato...
«In Romania, ai tempi di Ceausescu. Non risultava la mia prenotazione e mi rinchiusero in una cella dell’aeroporto per sei ore».

Qualche gaffe?
«Prima di un Feyenoord-Juventus facevo le prove microfono fingendo una vera telecronaca. Scherzando, per scaramanzia, improvvisai una disfatta della Juve. Purtroppo perse davvero e “Striscia la notizia” trasmise il fuorionda di quella mia goliardata. I tifosi juventini non la presero bene: scoppiò un macello e quando ospitai Del Piero, mesi dopo, lui mi disse che i giocatori erano convinti che avessi gufato. Alla fine ci siamo chiariti, ma ho passato due mesi terribili. Da allora ho cambiato il mio modo di fare le prove microfono».

Intanto ritorna la Champions League

Mentre Sandro Piccinini è impegnato a raccontarci la Serie A, in questi giorni è di nuovo Champions League. Come lo scorso anno una partita a settimana andrà in onda in chiaro su Canale 5, mentre Sky trasmetterà tutti gli incontri. Sono quattro le italiane nella competizione: Juventus, Inter, Atalanta e Lazio. I primi a scendere in campo saranno proprio i bianconeri di Cristiano Ronaldo che martedì 20 ottobre alle 18.55 (diretta Sky) giocano in trasferta contro la Dinamo Kiev. Stesso giorno, ma alle 21, la Lazio è in casa contro il Borussia Dortmund (Canale 5 e Sky). Il giorno dopo, invece, l’Atalanta è ospite dei danesi del Midtjylland e l’Inter riceve il Borussia M’Gladbach (entrambe le gare alle 21 su Sky).

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