Rai Movie gli dedica una rassegna. E in questa intervista ripercorre 40 anni di carriera, tra periodi bui e l’amore del pubblico
Un’ora e 37 minuti. Tanto è durata l’intervista con Sebastiano Somma. Una lunga chiacchierata. D’altronde, 40 anni di carriera e un’amicizia, quella con Sorrisi, che dura da 25 («Sono tra i più affezionati lettori del vostro giornale» spiega l’attore), sono difficili da sintetizzare.
Il 7 e il 14 agosto Rai Movie dedica all’attore una retrospettiva mandando in onda quattro suoi film.
Sebastiano, essere protagonisti di una retrospettiva non è da tutti…
«È una grande soddisfazione. La Rai, che ringrazio, mi ha dedicato questo omaggio in virtù di una collaborazione di anni».
Cinema sì, ma sono i ruoli nelle serie tv ad averle dato tanta popolarità. Con “Sospetti” (2000) e poi con “Un caso di coscienza” (2003) lei è stato il precursore del genere legal thriller in Italia.
«È vero! Tocca-vamo punte di 12 milioni di telespettatori. Pensi che Luca Bartoli, il magistrato protagonista di “Sospetti”, era stato paragonato a Montalbano per l’amore che gli riservava il pubblico».
Facciamo un passo indietro. Come ha iniziato questo mestiere?
«Io sono nato a Castellammare di Stabia, poi con la mia famiglia ci siamo trasferiti a Napoli. Da ragazzo entrai in una compagnia teatrale amatoriale. Mi piaceva. A 22 anni decisi di andare a Roma a studiare recitazione: fu il viaggio della speranza».
Cosa intende?
«Partii con la mia vecchia auto, che mia madre riempì di pentole, lenzuola, tovaglie, cibo, mancava solo un materasso: ero il perfetto emigrante. Mezz’ora dopo la macchina si fermò in autostrada. Arrivai a Roma sul carro attrezzi...».
Il suo primo film è un cult: “Un jeans e una maglietta” con Nino D’Angelo.
«Allora ero un bel ragazzo alto, biondo… Nino mi vide e disse al regista: “Scusate ma io aggia ruba’ a fidanzat a chist?” (ride)».
E poi sono arrivati i fotoromanzi.
«Sì, e mi diedero il nome d’arte di Chris Olsen. Ancora oggi c’è qualcuno che mi incontra e mi chiama così».
Com’era fare l’attore di fotoromanzi?
«La cosa più noiosa era dovermi portare tutti i vestiti da casa, caricando la macchina con dei valigioni».
Gli abiti erano suoi?
«Sì. Dovevo avere un guardaroba fornito! Poi spesso mi cambiavo per strada».
Un lavoro che ha fatto per oltre dieci anni: che cosa le ha insegnato?
«Ho un ricordo straordinario di quegli anni. Ho imparato i silenzi e a interpretare visivamente gli stati d’animo».
Avrà imparato anche a come prendere la luce, come mettersi in posa: oggi potrebbe dare lezioni agli influencer di Instagram.
«Oggi mi limito a fare i selfie con i miei fan (ride). Quando mi chiedono una foto, dico: “Sì, ma dammi il telefono che la faccio io”. Sono campione mondiale di selfie!».
Il momento più felice della sua carriera?
«Quando il regista Luigi Perelli mi chiamò e mi disse che ero stato scelto come protagonista di “Sospetti”. Avevo fatto tanti provini per quel ruolo, erano tre mesi che ero in ballo e quando arrivò la telefonata cominciai a piangere e non riuscivo a smettere».
E il momento più difficile?
«Tra il 1995 e il 1998, prima di “Sospetti”: quello forse è stato il momento più buio. Avevo 35 anni e mi sentivo come se non mi vedessero, se fossi inesistente. Eppure ci credevo in questo mestiere. Ho toccato con mano la depressione. Ecco perché quando poi arrivò quella telefonata per “Sospetti” scattò quel pianto».
Da lì cambiò tutto.
«La popolarità era enorme, non potevo uscire di casa o camminare per strada tanto era l’affetto della gente».
Le manca?
«No, adesso la popolarità è adeguata alla mia età, alla mia maturità: la gente si pone in maniera diversa, anche se poi continua a fermarmi, a chiedermi foto. È gratificante anche perché non sono tutti i giorni in televisione. In questi ultimi anni mi sono dedicato molto al teatro, incontro tante persone e tutte mi chiedono: quando la rivedremo in tv?».
Quando la rivedremo in tv?
«Le cose arriveranno, sono i cicli della vita».
Il personaggio televisivo che le piacerebbe interpretare?
«Mi piacerebbe tanto rendere omaggio a Raimondo Vianello. Chissà...».
Con chi vorrebbe lavorare?
«Amo Ricky Tognazzi e Simona Izzo perché coniugano la parte “mélo”, che è nelle mie corde, con temi impegnati. Per il cinema, invece, la mia “fissa” è Matteo Garrone».
Oltre al lavoro, cosa ama fare?
«Camminare per Roma, parlare con le persone: vivo di questi incontri, mi danno energia. Perché ancora oggi io conservo una passione importante per il mio meraviglioso mestiere. E mi auguro di tornare con un bel personaggio al mio pubblico televisivo. Prima o poi».