“Bang Bang Baby”: questa non è la solita storia sulla malavita

La prima serie italiana originale di Prime Video racconta di una ragazza che negli Anni 80 scopre i segreti della sua famiglia

Arianna Becheroni è Alice in "Bang Bang Baby"  Credit: © Prime Video
28 Aprile 2022 alle 11:18

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La prima serie originale italiana di Amazon, in arrivo su Prime Video il 28 aprile, non è una serie come le altre. “Bang bang baby” parla di una famiglia di ’ndranghetisti e di come una ragazzina entri in quel mondo, ma non è la classica storia di malavita, anzi.

La ragazza è Alice, interpretata dalla giovane e bravissima Arianna Becheroni: convinta che il padre (Adriano Giannini) sia stato ucciso quando era bambina, arrivata all’adolescenza scopre che le cose non sono andate come immaginava e soprattutto scopre che una parte della sua famiglia è dedita ad attività tutt’altro che legali. A cominciare da nonna Lina (Dora Romano), che passa con nonchalance dai fornelli allo spaccio di eroina.

Se i riferimenti a organizzazioni criminali e droga possono lasciar pensare a una riedizione di “Gomorra”, “Bang bang baby” va in tutt’altra direzione, spingendosi in alcuni passaggi fino alla commedia, come nelle sequenze in cui la storia è raccontata con lo stile di un telefilm americano degli Anni 80, uno di quelli con le risate registrate.

Ogni episodio è zeppo di riferimenti alla cultura pop di quegli anni: dagli spot di chewing gum e surgelati alle sitcom famigliari, fino ai cartoni animati giapponesi. La storia di Alice, la giovanissima protagonista interpretata da Arianna Becheroni, diventa così la storia di un’intera epoca. Creata e scritta da Andrea Di Stefano, "Bang Bang Baby" ha visto Michele Alhaique impegnato nel ruolo di regista di cinque episodi e di showrunner, ovvero di supervisore artistico di tutto il progetto. L’abbiamo intervistato per farci raccontare come è nata la serie.

Se dovesse riassumere "Bang Bang Baby", come la presenterebbe?
La trama racconta la storia di una ragazza degli Anni 80 che entra nell'ndrangheta, ma in realtà è soprattutto la storia dei suoi sogni e dei suoi incubi, filtrati dall'impatto che ha avuto la cultura pop nelle case degli italiani grazie all'avvento delle tv private, quindi spot, telefilm ecc. Ogni episodio ha un riferimento preciso a quegli anni che ci aiuta a raccontare quello che lei vive e prova. Sono metafore per raccontare il suo stato emotivo. Nel primo episodio c'è uno spot della Big Babol, nel secondo una sitcom Anni 80, nel terzo episodio "La donna bionica" e via dicendo.

Arianna Becheroni, che interpreta la protagonista Alice, è nata nel 2004: come le ha spiegato l’importanza di tutti quei riferimenti?
La mia preoccupazione non è stata quella di farle capire cosa fosse nello specifico quella pubblicità o quel telefilm. Di solito gli Anni 80 vengono raccontati con un tono malinconico, basta pensare a tutte le serie ambientate in quel periodo, ma anche a un certo cinema, da Spielberg in giù. L’approccio che ho avuto con i miei collaboratori invece non è mai stato quello di riprendere un mondo a cui eravamo affezionati, ma di tentare di raccontarli come una novità, come li vede lei. L'occhio di Alice è quello di una ragazza che arriva in una città che era la Milano da bere, in cui tutto è sfavillante e luccicante: i telefilm che guarda, la musica che ascolta, per lei tutto è una novità assoluta. Con Arianna è stato semplice, lei è del 2004, quindi è talmente lontana da quel mondo lì che davvero per lei è tutto una novità. Poi parliamo di un'attrice molto giovane e molto intelligente.

Quello che colpisce subito di "Bang Bang Baby" è che ha un’identità molto forte, diversa dalla classica serie italiana.
Il tono è la cosa più originale, è la sua anima. Era quello che mi stava più a cuore: trovare un'identità nuova in una serie. Soprattutto in Italia, si tenta sempre di fare delle serie che assomigliano a qualcosa di già visto a livello internazionale e devo dire che fin dalla prima lettura dei copioni mi sono reso conto - non senza difficoltà - di avere a che fare con una materia nuova. Quando hai davanti qualcosa di nuovo è molto difficile capire a cosa puoi fare riferimento, quali cose gli assomigliano, come andare a prendere un'atmosfera per rimetterla in scena. Qui è stata un'invenzione continua: avere un gruppo di attori che capiscono che tipo di prodotto stai facendo ha aiutato tantissimo. Altrimenti ogni volta rischi di fare dei passi indietro e Arianna, Adriano Giannini, Lucia Mascino, Dora Romano sono stati sempre aperti a un confronto e a una comprensione di quello che stavamo facendo. Sempre allineati con il tono giusto, anche se poi il tono di "Bang Bang Baby" è un tono unico perché all'interno ha mille toni diversi, dal crime alla commedia, al teen drama al melò più puro e la sfida è stata proprio quella di armonizzare questi toni.

In "Bang Bang Baby" ci sono tante scene che fanno ridere o almeno sorridere, ma si parla pur sempre di mafia e omicidi: non aveva paura di perdere per strada il registro drammatico?
Avevo il terrore di questa cosa, perché in scrittura a volte si rischiava di scivolare verso toni di commedia anche nei conflitti più drammatici. In questo senso i copioni sono stati una grossa base, una grossa traccia, ma mai come in questo caso erano interpretabili. Noi abbiamo iniziato a lavorare alla serie e a fare i primi sopralluoghi nell'autunno 2019, poi c'è stato il lockdown, che mi è servito tantissimo per immergermi nei copioni e trovare una mia chiave per interpretarli, perché il rischio era di inseguire il tono dei copioni e a volte rischiare di perdere le redini. Invece ho trovato una mia chiave e poi tutti mi sono venuti dietro. Ho dato centralità al personaggio di Alice per quanto riguarda il tono drammatico della storia. Non è mai portatrice di commedia, tutto quello che succede attorno può esserlo, ma mai in un tono che arriva a essere grottesco, mai con un giudizio. Ho cercato di evitare di ridere dei personaggi, ma di farmi portare da loro verso la commedia.

Una novità è anche il suo ruolo da showrunner, che in Italia non è ancora diffuso: come si è trovato in questa posizione inedita?
Subito dopo il mio film "Senza nessuna pietà" (2014) ho fatto una serie per Mediaset che si chiamava "Solo" e che il produttore Pietro Valsecchi mi affidò interamente. Però era molto diverso, perché rientrava nelle produzioni canoniche di Taodue, dei classici polizieschi di mafia. In questo caso, sono partito con Andrea di Stefano, che ha scritto la serie e mi aveva proposto di dirigere cinque episodi. Poi lui è dovuto tornare in Francia per il lockdown e Amazon ha deciso di affidarmi la serie. È stato un ruolo inedito. Io ho bisogno di avere sfide davanti, altrimenti mi annoio tremendamente. È stato possibile solo perché ho avuto dei produttori che mi hanno detto: "Spingi, hai una storia che ti permette di trovare una chiave nuova". Ho preso a piene mani questo suggerimento: siamo pieni di cose già viste che ci annoiano dopo i primi cinque minuti. Parliamo comunque di dieci episodi, tenere in piedi tutto è stato un viaggio lunghissimo.

Ha lavorato alla regia di "Romulus" e poi a "Bang Bang Baby", due serie radicali, per quanto in modo diametralmente opposto. Quali generi vorrebbe affrontare in futuro?
Intanto abbiamo già girato la seconda stagione di "Romulus", che sarà ancora più forte della prima perché tutto più a fuoco e siamo cresciuti in questo senso. Per il futuro, non ho ancora un ideale di storia che vorrei raccontare. Tutte le storie mi interessano, voglio essere messo nella condizione di poterle interpretare e trovare una chiave nuova per raccontarle, altrimenti diventa qualcosa di già fatto. Credo che la serialità ormai debba puntare su tono e punto di vista, sono questi gli elementi chiave.

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