Un telefono che suona a lungo. Un uomo che attende un po' troppo prima di rispondere. Una voce dall'altro capo che gli annuncia la morte del padre. Lo svelamento di una siringa ancorata al suo braccio. Una risata.
Inizia con questo incipit carveriano «Patrick Melrose», in onda su Sky Atlantic dal 9 luglio. Scritta da David Nicholls (autore di romanzi celebri come «Un giorno», «Noi», «Le domande di Brian»), la mini-serie britannico-statunitense è interpretata da Benedict Cumberbatch, nei panni del suo psicotico protagonista.
Cinque puntate che portano sul piccolo schermo la grande saga familiare che lo scrittore Edward St. Aubyn aveva spalmato in altrettanti romanzi (ora disponibili in un unico grande volume riedito per l'occasione da Neri Pozza) d'ispirazione biografica.
«Patrick Melrose» è uno dei personaggi, nonché una delle serie tv, più interessanti del 2018. Passo per passo, vi spieghiamo perché.
La storia
Patrick Melrose (Benedict Cumberbatch) è un giovane aristocratico inglese che conosciamo nel 1982, anno della scomparsa di suo padre. Patrick è tormentato dal suo passato e dipendente da eroina. Quando una telefonata gli annuncia la morte del genitore, vola a New York per recuperare le sue ceneri, iniziando così un viaggio a ritroso nel tempo, verso quel periodo della sua vita in cui, ancora bambino, cadde vittima del peggior sadismo dell'uomo. Un trauma con cui Patrick è stato costretto a condividere la sua intera esistenza. Non a caso, ognuno dei cinque episodi in cui si articola la mini-serie, è sviluppato in un preciso anno e in un momento determinante della vita di Patrick, tra passato e presente, per raccontare cause ed effetti di quel singolo fatto sul suo destino.
David Nicholls e la dark comedy
La serie è tratta dai romanzi semi-autobiografici di Edward St. Aubyn, il quale è riuscito a esorcizzare attraverso la scrittura i mostri del suo passato. La storia tragica che Aubyn ha raccolto nei suoi scritti, è diventata terreno fertile per un grande autore come David Nicholls, che li ha saputi limare e trasformare in una serie di cui è impossibile non riconoscere il grande valore autorale. Nicholls, d'altronde, è un narratore pop, ma mai superficiale, di tragedie umane del quotidiano. Da «Un giorno» a «Il sostituto», nei suoi libri ci ha sempre messo davanti all'umana desolazione, senza però dimenticare di farci sorridere o intrattenendoci con un linguaggio leggero. Così in «Patrick Melrose», dove un dramma familiare sconvolgente viene messo in scena attraverso personaggi e situazioni intrise di humor British.
Le colpe dei padri
C'è un momento nella vita di ciascuno di noi, in cui speriamo di valere qualcosa come singoli, al di là delle regole e dei valori con cui la famiglia ci ha cresciuti. Per molti, come accade a Patrick Melrose, c'è anche un netto bisogno di sapere - più che altro una speranza - di non assomigliare per nulla ai propri consanguinei. Più cresciamo e più pensiamo che basti allontanarsi per dimenticare, ma è tutto inutile: la memoria ci insegue, continuando a darci tormento. Ricordo, trauma, abbandono e identità sono le grandi tematiche affrontate da «Patrick Melrose», in un crescendo drammatico che grazie all'ammirevole regia di Edward Berger («Deutschland 83», «The Terror») si trasforma in un'esperienza immersiva nel cammino d'espiazione di un uomo, per cui non riusciamo a non provare uno struggente senso di pietà, nonostante non brilli per simpatia.
Benedict Cumberbatch e il resto del cast di «Patrick Melrose»
Non potevamo immaginare interprete migliore per la trasposizione filmica della figura di Patrick Melrose. Reduce da personaggi nevrotici e marcatamente British come «Sherlock Holmes» nell'omonima serie tv o Alan Turing nel film «The Imitation Game», Benedict Cumberbatch sviluppa qui il ruolo più rappresentativo e complesso della sua gallery di sociopatici in perenne fibrillazione. Il suo inconfondibile tono di voce, spocchioso ma elegante, sottolinea la sua recitazione formale e punk al tempo stesso. Non riusciamo a empatizzare fino in fondo con Patrick Melrose, giustificare la sua oziosa inadempienza e la sua apatica esistenza, capire fino in fondo ciò che è diventato, perché è troppo: troppo eccentrico, troppo inumano, troppo violento, troppo drogato, troppo piagnone? Eppure non possiamo fare a meno di amarlo. Grazie alla bravura di Cumberbatch, si trasforma in uno dei più grandi antieroi moderni da piccolo schermo: sopraffatto dalla vita, indisposto all'azione. Accanto all'attore inglese, un cast d'eccezione: Hugo Weaving è David Melrose, il padre misantropo, Jennifer Jason Leigh è la madre Eleanor, una maschera umana d'infinita tristezza e solitudine, Jessica Raine è la sua storica amica Julia. Questo solo per citarne alcuni (altri non li diciamo per questioni di spoiler). «Patrick Melrose» è una grande serie di recitazione, una complessa prova attoriale in cui pressoché tutti gli interpreti sono chiamati a sostenere ruoli che non solo si evolvono di puntata in puntata, ma attraversano diverse epoche.
Il declino dell’aristocrazia
Patrick è convinto che "il veleno dei Melrose scorra di generazione in generazione". Il suo è un dramma che sembra non aver mai fine, nemmeno dopo aver trovato una sorta di tranquillità domestica. Parallelamente all'evoluzione interiore del suo protagonista, la serie ce ne racconta un'altra: quella dell'ambiente che lo circonda. Patrick fa parte dell'aristocrazia inglese, che nella serie viene rappresentata come la tomba di ogni rapporto e sentimento nobile, una condizione da cui la maggior parte dei personaggi sembra non avere le forze - o forse solamente il coraggio - di fuggire per mero opportunismo (?non è così facile' dice la mamma di Patrick alla giovane Bridget). I suoi membri sono perlopiù arrampicatori sociali con la spocchia di appartenere a un club esclusivo, disposti a tutto pur di non perdere i privilegi acquisiti, come sottostare alle attenzioni o alla violenza psicologica di chi, tra di loro, il potere lo detiene davvero.
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