Con la terza stagione «True Detective» torna alle origini

Protagonista assoluto Mahershala Ali, che interpreta un detective veterano di guerra in tre periodi diversi: il 1980, il 1990 e il 2015

Mahershala Ali nella terza stagione di «True Detective»  Credit: © HBO
11 Gennaio 2019 alle 17:45

«True Detective», la serie tv creata da Nic Pizzolatto per Hbo e di ritorno il 14 gennaio su Sky Atlantic (e Sky on demand e NowTv) con la terza stagione, non ha mai raccontato solo storie di sbirri, malaffari e indagini. Ha sempre provato ad essere qualcosa di più. Ogni nuova stagione è come il capitolo di un libro: con qualcosa di simile rispetto alle altre; ma anche, contemporaneamente, diversa. Si è notato praticamente subito con la prima e la seconda, una incentrata sulla lotta del bene contro il male, della luce che vince sulle tenebre, di un caso d’omicidio terribile e oscuro, e l’altra più viscerale, più terra terra, sul gioco vecchio quanto il mondo di guardie e ladri.

Ritorno alle origini

Per la terza stagione, c’è un ritorno al passato con un caso difficile: un bambino che muore e una bambina che scompare. Il protagonista è interpretato da Mahershala Ali, un veterano della guerra del Vietnam che si ricicla detective e che ha un fiuto infallibile. Lo seguiamo attraverso gli anni: prima il 1980, poi il 1990 e infine - vecchio, stanco e malato, incapace di ricordare quello che ha mangiato a cena - nel 2015. È la sua storia che interessa a Pizzolatto. Tutto il resto – indagini, promozioni, declassamenti, matrimoni, figli, scontri, politica – passa in secondo piano, leggermente, con una palla di polvere che rotola nel deserto. I punti di contatto tra la prima e la terza stagione ci sono, certo. E sebbene sia piuttosto evidente che alcune decisioni siano state prese per venire incontro ai fan della primissima ora, delusi dalla storia con Colin Farrell e Rachel McAdams (e invece, a riguardarla, anche quella merita molto), c’è pure il tentativo di Pizzolatto – che nasce scrittore – d’andare oltre. Il rapporto tra poliziotto e memoria, tra passato e presente, l’importanza dei ricordi e delle scelte che facciamo. Siamo nel sud degli Stati Uniti. Wayne Hays, il personaggio interpretato da Ali, è in coppia con Roland West (Stephen Dorff), suo superiore. Uno nero, l’altro bianco. Uno trattato quasi con sufficienza, spesso addirittura ignorato dalle persone; e l’altro ascoltato, seguito, sempre tenuto in altissima considerazione.

Misteri su misteri

Mahershala Ali e Stephen Dorff in «True Detective»  Credit: © HBO

Non sono due poliziotti modello, due cavalieri senza macchia e senza vergogna. Pestano quando c’è da pestare e minacciano, insultano, vanno dritti per la loro strada. La loro è una giustizia umana: pronta a sbagliare, a dimenticare; pronta a prendere la decisione più facile, solo per avere risultati immediati. Nel corso degli anni Hays e West finiscono per perdersi di vista. Hays viene assegnato al lavoro d’ufficio, West diventa tenente. Si ritrovano a indagare insieme negli Anni 90. Hays è divorato dal senso di colpa per non essere riuscito a chiudere il caso, per aver sbagliato. West, invece, convive con i suoi demoni. Altro scatto, poi: anni 2000 e oltre. I due, quando si vedono, si riconoscono a stento. Una giornalista sta girando una docu-serie sul loro caso e loro ricominciano a parlarne, a indagare, a cercare di capire. Misteri su misteri. Ma la vera domanda, come al solito, è un’altra. Non chi ha ucciso, o rapito, la vittima. Ma piuttosto: come siamo arrivati a questo punto, chi siamo oggi. Hays, guardandosi allo specchio, non lo sa più. Tiene addirittura un registratore per ricordarsi cosa ha fatto.

Non una serie sui poliziotti, ma sulle persone

Mahershala Ali e Carmen Ejogo in «True Detective»  Credit: © HBO

Il racconto ha lo stesso tono lento e trascinato della prima stagione, con battute che vogliono essere pillole di saggezza e sentenze assolute sulla vita, e con due personaggi perennemente in difficoltà e in conflitto, sempre a metà, sempre sull’orlo della crisi, soli, abbandonati. Mahershala Ali è il centro della storia, è lui che si fa carico di ogni momento. E insieme a lui, più che Dorff, è Carmen Ejogo, che interpreta Amelia, la moglie di Wayne, prima insegnante e poi scrittrice, a rappresentare l’altra faccia di questa storia. L’intraprendenza, la sicurezza, la curiosità. Ma anche e soprattutto la desolazione e lo sconforto. L’idea chiara di fallibilità. I rimpianti che finiscono per superare i traguardi raggiunti. Più che di detective, la serie di Pizzolatto parla di persone. E il distintivo, spesso, è solo una scusa.

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