C’era una volta Sarai Walker,una brava scrittrice in sovrappeso che ha riversato le sue esperienze, le sue frustrazioni, i suoi pensieri e la sua esperienza come donna e giornalista in un libro intitolato «Dietland».Walker sostiene che la sua protagonista, Plum Kettle, non sia stata costruita su se stessa, ma sono davvero palesi gli overlapping di storia - personale e inventata - che ci permettono di dire che sì, «Dietland» è fiction, ma ben strutturata su un vissuto.
Se siete arrivati a leggere fino a qui, ma ancora non vi è andato giù il sovrappeso della prima riga,vuol dire che probabilmente abbiamo costruito un buon incipit per spiegarvi l’operazione «Dietland», dal cui libro è stata tratta l’omonima serie tv in streaming su Amazon Prime Videodal 5 giugno. In carne, robusta, paffuta… probabilmente avrebbero leso meno la sensibilità comune, ma avere paura di chiamare le cose col proprio nome spesso finisce per problematizzare ciò che invece va vissuto come una caratterizzazione personale senza giudizio. Questo è il punto di partenza di una serie che mette una delle ‘feminist issue’ più discusse, quella delle fisicità fino a oggi cancellate dai media, al centro di un dibattito in cui la critica è dunque lecito muoverla solo parlando di salute.
Plum Kettle (Joy Nash) lavora per uno dei periodici di moda più hype di New York come ghost-writer della direttrice, al posto della quale risponde alle domande dei lettori. La figura di Plum è in bilico tra due tipi di femminilità: quella patinata proposta dal magazine e quella reale, imperfetta, che traspare dai quesiti che si trova ad affrontare e dalle sue sensibili risposte.A cui però spesso è lei per prima a non credere: Plum sta per sottoporsi a un’operazione allo stomaco che le consentirà di perdere peso, sentendosi finalmente accettata da se stessa e dagli altri. Ma è questa la strada? A rispondere è il destino: Plum finisce in mezzo a una diatriba tra fazioni rivoluzionarie di stampo femminista, ognuna con le sue cause e i suoi metodi di soluzione, che la porteranno a una riflessione sul vero significato di cambiamento e femminilità oggi.
Io sono un unicorno
«Stai scherzando? Io mi sento bene. Davvero. Io amo me stessa [serie di insulti]. Sono venuta qui perché ho problemi alla schiena, non perché odio il mio corpo. Io sono un unicorno, sono una dea dell’amore».
A nemmeno una decina di minuti dall’inizio di «Dietland» ci viene incorniciato il succo della serie attraverso le parole di una paziente che sbrocca durante una seduta al centro che Plum sta frequentando per affrontare il rapporto col proprio peso, in previsione dell’operazione allo stomaco che le consentirà di dimagrire. La ragazza è lì per motivi di salute, non estetici. La dottoressa, figlia di diktat sociali secondo cui tutte vorrebbero essere magre come sul magazine per cui Plum lavora, si è sbagliata, facendosi portavoce di quel luogo comune che a lungo ha ossessionato e distrutto generazioni di giovani donne. «Dietland» sposta il focus del discorso: il problema dell’essere sovrappeso non è estetico, madi salute.
Plum Kettle, un’altra eroina imperfetta
Da Jessica Jones alla Dolores di «Westworld», passando per «The Marvelous Mrs. Maisel», «Fleabag», le eleganti protagoniste di «Big Little Lies», ma anche quelle più scalcinate di «Glow» - di cui a fine giugno arriva la seconda stagione su Netflix -, solo per citarne alcune, Plum si aggiunge al clan delle nuove eroine da piccolo schermo, personaggi portavoce di una nuova femminilità, imperfetta, ma intraprendete, travolgente e rivoluzionaria a livello mediatico.
E allora perché tutta questa tristezza?
Il libro di Sarai Walker da cui è tratta la serie ha un mordente comedy-cinico che lo ha fatto apprezzare a un vasto pubblico. Nelle due puntate della serie che abbiamo visto in anteprima, invece, quello che al momento ci ha un po’ scombussolato è il tenore di tristezza che pervade la sua eroina.
Plum, il cui nome rimanda alla succosità della prugna e alla sua dolcezza - entrambe caratteristiche che appartengono anche alla ragazza - si trascina in un mix d’insicurezza e d’indecisione che la porta a essere in balia delle donne che la circondano: del suo direttore che non le permette di spiccare il volo come giornalista, della sua dottoressa che la induce a pensare che l’intervento chirurgico risolverà tutti i suoi problemi, della leggendaria fondatrice della Calliope House, Serena Baptist (Robin Weigert), che invece le vuole far fare un percorso di auto-accentazione con l’idea che solo così si combattono misoginia e discriminazione. Infine, lo è anche di una fiabesca donna dell’archivio make-up del magazine per cui lavora, che prova a darle sicurezza e coccole, mentre tenta d’immischiarla in qualcosa di molto più grosso, al limite con lo spionaggio.
Di sicuro la tristezza di Plum è figlia di una violenza morale perpetrata nel tempo e ci sono le basi narrative per un ribaltamento futuro della sua figura femminile, che però al momento ha la pecca di essere un filo troppo appoggiata al pericoloso stereotipo della ragazza grassa, sola e in balia di quel mondo che la vuole diversa. Soprattutto per uno show dissacrante, che è evidente voglia navigare controcorrente. Per fortuna Joy Nash è così calamitante e delicata, da riequilibrare il personaggio.
Il tema della violenza in «Dietland» ha un nome: Jennifer
«Dietland» combatte due tipologie di violenza: quella estetica, dettata dagli impossibili canoni di bellezza suggeriti dai media - come il magazine in cui lavora Plum - e quella sessuale. Se la serie seguirà la traccia narrativa del libro, quest’ultima dovrebbe entrare in gioco a breve, travolgendo la protagonista e cambiando drasticamente il focus della storia. Si chiama Jennifer ed è un’organizzazione femminile di stampo violento, che punisce con la morte i predatori sessuali.
Anche in questo caso, siamo curiosi di vedere come la creatrice Marti Noxon ha continuato la sua storia per il piccolo schermo, visto che - almeno fino alla fine del secondo episodio dove siamo potuti arrivare - non ha preparato un terreno fertile alla giustificazione di simili atti contro il genere maschile, anzi. Dal proprietario del bar in cui ogni tanto Plum va a preparare qualche dolce, che è ciò di più di simile a un amico che la ragazza ha, fino al cameriere belloccio che la corteggia, così come l’ispettore di Polizia che sta conducendo delle indagini nella sede del magazine, sono tutte figure maschili positive.
Affezionarci a loro ed entrare nel circolo di violenza non sarà così facile. E due teppistelli secondari che danno fastidio a Plum mentre passeggia, non bastano per snocciolare il problema. La speranza è che ci rimangeremo tutto continuando con la visione: i presupposti di trama sono davvero buoni e le tematiche trattate straordinariamente calde.
«Dietland» perché
È una serie con un buon potenziale narrativo, ironico e non scontato, su temi molto caldi come sessismo e violenza contro le donne.
Perché rompe alcuni tabù: si può parlare di peso, se a scopo medico.
Perché Joy Nash è da lasciarci occhi, cuore e sensi.