“Il re”, Luca Zingaretti: «Nel mio carcere la legge sono io, non sfidatemi»

L’attore arriva su Sky Atlantic e Now con la serie in cui è il direttore di una prigione

Luca Zingaretti nel ruolo di Bruno Testori, controverso direttore del carcere di San Michele
15 Marzo 2022 alle 17:01

Luca Zingaretti debutta su Sky nei panni di un re, ma senza corona né mantello. “Il re”, dal 18 marzo su Sky Atlantic e in streaming su Now, non è un fantasy o un dramma storico, bensì il primo “prison drama” prodotto in Italia. Questo re di Zingaretti è Bruno Testori, controverso direttore del San Michele, un carcere di frontiera. Sovrano assoluto di una struttura in cui le leggi dello Stato non valgono, perché il bene e il male dipendono unicamente dal suo giudizio.

Zingaretti, stavolta il suo personaggio non è proprio “perbene”.
«Sì, anche se io non sono così netto nel giudizio. Mi sono sempre dato la regola di non giudicare i personaggi che interpreto. Io devo cercare di coglierne le sfumature, l’umanità, i conflitti. E in questo Testori è un personaggio straordinario. Una sfida per un attore. La bellezza di questa serie, secondo me, sta proprio nel tentativo di scansare i cliché: in fondo nessuno di noi è completamente buono o cattivo».

Qui il protagonista fa anche cose spregevoli.
«Certo. Ma Bruno è uno che, a modo suo, è convinto di stare nel giusto. È chiamato a fare il lavoro sporco che la società gli chiede e che nessuno vuole fare. Lui interpreta il suo ruolo con le regole che lui stesso ha stabilito. La domanda che dobbiamo porci è: “Come ci comporteremmo al suo posto?”».

Un personaggio scivoloso… Credendo di stare nel giusto si possono compiere nefandezze.
«Lo è eccome. Per questo è un ruolo così difficile e impegnativo. Ma se una fiction riesce a porre interrogativi e a generare discussioni su argomenti come questo, ha già fatto centro. Però è anche il tentativo di fare una serie in una maniera diversa. Per costruire il personaggio ho avuto la fortuna di lavorare con attori ex carcerati: oltre ad aiutarci nell’essere verosimili, mi hanno raccontato come funziona la vita lì dentro. Alla fine l’idea che tutti abbiamo del carcere è molto diversa dalla realtà, influenzata dal cinema e dai libri. La verità sul carcere la comprendi solo quando varchi quei cancelli».

Il realismo non è un frequentatore abituale delle nostre fiction. Non teme la reazione del mondo penitenziario?
«Francamente spero, e credo, che non ci sarà, perché tutti abbiamo lavorato con molto rigore nel tentativo di raccontare un mondo complesso, che ha molte sfaccettature e purtroppo non tutte gradevoli da vedere. Se qualcuno poi si offenderà pazienza, ma sono certo che in quello che abbiamo girato rivedrà la realtà che lo circonda».

È una serie che si conclude o può continuare?
«Diciamo che ha tutte le caratteristiche per continuare. E da quello che si sente dire in giro, pare che sia piaciuta molto. Stiamo a vedere…».

Montalbano ha avuto grande visibilità nel mondo. Non ha mai pensato di fare il grande salto?
«Vede, gli attori di Almodóvar sono tutti andati a Hollywood perché in quel mercato c’era bisogno di attori latini. Per noi italiani è sempre stato diverso. In fondo, prima di “Gomorra” s’era visto solo Montalbano. Le occasioni ci sono state, e la tentazione pure. Anch’io da giovane, come tutti gli attori, ho scritto il discorso per la vittoria agli Oscar. Poi, però, ho capito che volevo fare le cose bene qui, nel mio Paese: fare cose importanti e di qualità, piuttosto che accettare un piccolo ruolo di là solo per andare a scoprire che hanno la gru gigantesca o grandi tecnologie. La verità è che poi quando gli americani vengono a girare da noi si accorgono che quelle stesse cose qui le facciamo ugualmente, magari con il lavoro di artigiani e maestranze che s’ingegnano per ottenere gli stessi risultati».

L'approdo a Sky è l’inizio della vita dopo Montalbano?
«Per quanto mi riguarda la vita dopo Montalbano è già cominciata durante Montalbano, nel senso che ho sempre fatto tutta una serie di progetti miei e ho cominciato questa avventura della produzione teatrale con mia moglie che ci sta dando grandissime soddisfazioni. Con Montalbano ho avuto la fortuna di interpretare un personaggio che il suo autore reinventava continuamente costringendoti ad adeguarti a lui, a cambiare, a non ripeterti. Però oggi Andrea (Camilleri, ndr) non c’è più e Alberto Sironi (il regista della serie, ndr) neppure: penso che sia un discorso inevitabilmente chiuso. Se devo dire che cosa mi stuzzica adesso, risponderei la regia: curare un progetto mio da dietro la macchina da presa. L’ho fatto in alcune situazioni e confesso che mi sono sentito molto a mio agio».

Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction, ha detto che “Il commissario Montalbano” potrebbe proseguire senza Montalbano.
«Non è che ha una domanda di riserva?».

Sua moglie Luisa Ranieri è nel film “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino che è in corsa per l’Oscar. Come la vivete?
«Benissimo! Sono più felice che se fossi stato nominato io. E poi sa, qualche set io l’ho frequentato e ho visto tanti registi, ma quando vedi al lavoro uno come Sorrentino è una benedizione. Uno così nasce di rado. Il suo mondo, il suo immaginario, il suo modo di raccontare mi hanno commosso. Il ruolo di Luisa, poi, era straordinario e lei se l’è portato a casa con grande sensualità, con grande dolcezza, con grande delicatezza. Sono davvero orgoglioso».

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