L'attore è protagonista di una serie di Prime Video su un incredibile furto di diamanti avvenuto davvero
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Con una inedita inflessione torinese mischiata a un inglese da espatriato, Kim Rossi Stuart si destreggia in una storia fra la realtà (si basa su un fatto di cronaca) e la fantasia, il thriller e la commedia, colpi di scena e risate. Un gioielliere italiano, Leonardo Notarbartolo, a capo di un’improbabile banda, svaligia il più inaccessibile deposito di diamanti ad Anversa. La serie, otto episodi dal 13 ottobre su Prime Video, si intitola “Everybody loves diamonds” e andrà in onda contemporaneamente in tutto il mondo.
Il titolo, tradotto, significa: “Tutti amano i diamanti”. Quindi un diamante ti cambia la vita?
«Personalmente non credo: per me i diamanti non sono mai stati un simbolo e non mi fanno impazzire, con grande scontento di mia moglie. E alla fine la storia racconta che questa folle ambizione al lusso e alla ricchezza non porta da nessuna parte».
Il fatto risale a 20 anni fa. Tutto accadde in un freddo febbraio del 2003.
«Sinceramente non ne sapevo nulla prima di girare la serie. E anzi, quando il produttore Mario Gianani me ne ha parlato la prima volta stentavo a crederci».
Perché era incredulo?
«Era una storia davvero assurda per un profano, o meglio per uno che non bazzica ladri, furti e svaligiamenti vari. oggi, con la tecnologia che c'è, un colpo del genere sembrerebbe incredibile».
Incredibile, ma vero.
«Sono ladri non violenti che, con grande tenacia, svaligiano una quantità industriale di diamanti e non posso nascondere che qualche simpatia me la fanno».
Si è poi informato con le cronache dell’epoca?
«Non ho fatto un gran lavoro di ricerca, un po’ perché non ho avuto tempo, un po’ perché il taglio di commedia della serie non richiedeva quello scavo».
Una storia che si gioca sul tema del tradimento: chi nella banda ha tradito Leonardo e lui che tradisce la moglie.
«È uno degli archi narrativi, ma nello sviluppo degli episodi ci sono anche altri temi, tutti giocati con questi avanti e indietro temporali, salti di tempo continui».
All’inizio il protagonista dice: «Ognuno di noi vive coltivando un sogno».
«La cosa bella e da salvare del personaggio è il suo sogno. Il vero Leonardo Notarbartolo non ha più un euro in tasca e non si sa questi diamanti che fine abbiano fatto: per questo resta una figura molto poetica».
Il suo sogno, invece, era una serie internazionale?
«Non sono un grande sognatore, mi prendo quello che c’è, non faccio voli pindarici, cerco di relazionarmi con la realtà. Poi le cose, facendole, diventano un bel viaggio e un bel sogno. Però finora mi mancava l’esperienza di una commedia, concedersi di “fare facce”, come si dice in gergo, un po’ grottesche. In molti passaggi si avvicina al fumettistico. È stato divertente».
La scena in cui si è divertito di più?
«Ci sono state delle piccole cose che mi hanno fatto ridacchiare, una pausa, un’espressione, oppure i balletti, li ho fatti improvvisando. Per esprimere la sua gioia Leonardo si concede dei balletti in preda all’euforia, due mosse di una danza improbabile».
Ladro, di tutt’altro genere e un po’ più criminale, era stato pure nel film “Vallanzasca - Gli angeli del male”. Ha il physique du rôle giusto?
«Evidentemente ce l’ho sempre avuto. Qualche gangster l’ho interpretato: in “Vallanzasca”, “Romanzo criminale”, anche Lucignolo nel film “Pinocchio” di Roberto Benigni era un piccolo gangster. In tutti c’è il fascino della ribellione che è poi quello che nella vita reale Leonardo Notarbartolo con grande candore racconta».
Che cosa racconta?
«C’è una frase bellissima, non ricordo di chi fosse, che dice che nella vita ci sono tante sedie, ognuno ha la sua e quella del ladro qualcuno deve pur occuparla. È un po’ questa la filosofia del vero Leonardo, una persona molto carina e sensibile. Si capisce dal modo in cui parla della sua “professione”».
Quando ha conosciuto il vero Leonardo?
«Tre anni fa i produttori me l’hanno presentato, loro avevano un dialogo con lui da diversi anni. Io l’ho conosciuto poche settimane prima delle riprese, ci siamo incontrati durante un pranzo a Roma e ci siamo visti sul set a Torino un altro paio di volte, quindi non c’è stato quel transfert che a volte avviene con alcuni personaggi quando conosci l’originale».
Avendo davanti l’originale che curiosità le è venuta?
«Di sapere la verità. Come è andata? Come ha fatto a entrare in un bunker del genere?».
E la risposta?
«Ho capito che ci vuole un po’ di destrezza, un po’ di fortuna e pure una dose di improvvisazione. C’è una frase nella serie che diventa un piccolo tormentone: “Dobbiamo fare un furto di una destrezza straordinaria”, c’è il culto della “destrezza”. Anche questo è poetico».