“Mare fuori”, i segreti del suo sorprendente successo

La serie, nata per Rai2, è poi approdata su Netflix diventando la più amata dai giovani

6 Settembre 2022 alle 08:20

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Prendi una serie tv ambientata in un luogo difficile come un carcere minorile a Napoli, mandala in onda su Rai2, non accontentarti degli ascolti ottenuti (la seconda stagione sulla Rai ha viaggiato tra 1 e 1,4 milioni di spettatori), falla arrivare su Netflix, goditi il trionfo. Questo, in sintesi, il percorso fatto da “Mare fuori”, la serie creata da Cristiana Farina e Maurizio Careddu che da giugno, mentre sono in corso le riprese della terza stagione (ed è in scrittura la successiva), ha visto le prime due attestarsi stabilmente nella Top 5 di Netflix, arrivando a superare persino “Stranger things” Con tutto quello che naturalmente ne consegue, prima fra tutti un massiccio seguito sui social.

Per provare a capire le ragioni di tutto questo abbiamo parlato con Roberto Sessa, che con la sua Picomedia produce (al fianco di Rai Fiction) “Mare fuori”, e con Cristiana Farina, che la scrive. E abbiamo scoperto cose curiose. Come, per esempio, che il soggetto di “Mare fuori” è rimasto a lungo in un cassetto prima di trovare qualcuno disposto a realizzarla: «Ci sono voluti anni per arrivare in porto. Probabilmente quando è stata ideata i tempi non erano ancora maturi perché si tratta di una serie che parla in modo molto vero e realistico del mondo dei ragazzi. Non a caso non ci sono altre serie così, ambientate in un carcere minorile» osserva Sessa.

E Cristiana Farina conferma, anche se sottolinea che il grande successo su Netflix in realtà era già stato anticipato da quello ottenuto su RaiPlay: «Il primo vero exploit lo avevamo avuto sulla piattaforma in streaming della Rai con quasi 60 milioni di visualizzazioni. Poi è arrivata Netflix con il suo enorme potere comunicativo che viaggia sui social. I nostri protagonisti sono giovani: se ognuno di loro coinvolge 300 mila coetanei, siamo già a tre milioni di spettatori...». Per la sceneggiatrice, “Mare fuori” stravince su Netflix proprio perché parla ai giovani: «Le nostre storie vanno dritte al cuore dei ragazzi che la guardano. I nostri personaggi non sono mai bidimensionali, non c’è mai una divisione netta tra bene e male, e così si finisce per affezionarsi anche a quelli che hanno fatto cose orribili. Perché grazie agli adulti che li circondano, si capisce che la loro violenza è in realtà un grido di dolore. E se qualcuno gli tende la mano, hanno una speranza, vedono la luce in fondo al tunnel».

Sulla speranza insiste Carolina Crescentini, che nella serie interpreta Paola Vinci, la direttrice dell’Istituto di pena minorile: «Mi sono innamorata di “Mare fuori” subito dopo avere letto la sceneggiatura perché trattava un argomento importante. Del carcere, in particolare di quello minorile, non si parla mai e invece bisogna sapere che chi è lì dentro ha bisogno di aiuto e di strumenti utili a non commettere più gli stessi errori. Una volta, per un altro progetto, sono andata nel carcere di Poggioreale e ho scoperto che di solito sono sempre le stesse persone a fare “entra ed esci”. La funzione degli educatori è fondamentale, e noi in “Mare fuori” lo raccontiamo. Tanto che molte persone hanno scritto ai registi per proporsi davvero come educatori».

Quando parla dei giovani protagonisti della serie, è difficile capire dove finisce Carolina Crescentini e inizia Paola Vinci: «Fanno tutti i “fighi” ma sono cuccioli. Sul set mi emoziono: dovrei essere dura con loro ma, in realtà, li abbraccerei tutti. Alcuni, tra l’altro, vengono davvero da realtà difficili e, grazie ai personaggi che interpretano, le loro vite si sono trasformate». E gli spettatori più giovani se ne accorgono: «Qualche tempo fa a un ragazzino che ci ha fermato per strada a Napoli abbiamo chiesto se preferisse i Di Salvo o i Ricci (due famiglie camorriste della serie, ndr) e lui ha risposto: “No, io preferisco le guardie perché ci devono aiutare”».

«Sul set siamo diventati amici. Siamo giovani, siamo tutti partiti da zero e tra noi non ci sono invidie o gelosie» dice Artem Tkachuk, che nella serie interpreta Pino “‘O Pazzo”. E racconta anche il rapporto speciale che è nato con i fan: «L’energia che ha creato un legame tra noi attori del cast la trasmettiamo a chi ci guarda. Ogni giorno ci sono tanti ragazzi che ci aspettano fuori dal set con gli striscioni, pure sotto la pioggia. Ci vogliono davvero bene. L’altra sera una ragazza voleva farsi un selfie con me, ma aveva il cellulare scarico. Le ho detto: “Lo facciamo con il mio, poi ti mando la foto su Instagram”. Lei è scoppiata a piangere per l’emozione». Il personaggio interpretato da Artem non è certo uno dei più teneri eppure piace tanto, e lui lo spiega così: «Colpisce la sua naturalezza. Pino se ne frega delle regole, è il sovrano di se stesso e dimostra che bisogna seguire la propria strada e non confondersi con la massa».

L’assedio dei fan all’uscita del set dove proprio in questi mesi si sta girando la terza stagione ha stupito anche Ivan Silvestrini, regista della serie, entrato nel corso della seconda stagione: «A Napoli ormai siamo assediati. Ogni giorno, alle fine delle riprese, troviamo decine di persone ad attenderci. Ci sono anche intere famiglie che ormai si conoscono tra di loro. Più di una volta, mentre giravamo, abbiamo dovuto chiedergli di fare silenzio perché cantavano a squarciagola la sigla (ride)».

Con tanta gente a curiosare sul set, è sempre in agguato il “rischio spoiler”, cioè di poter rivelare agli occhi curiosi e indiscreti dei fan che cosa accadrà negli episodi ancora inediti: «Per esempio, qualche tempo fa dal carcere è uscito un carro funebre: quello non potevamo proprio nasconderlo» dice Silvestrini. «Da quel momento, sui social è partito il “toto-morto” per scoprire chi morirà nella terza stagione...».

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