Robert Kirkman, creatore di The Walking Dead e Outcast: l’incontro al Lucca Comics 2017

La mente di tanti fumetti e telefilm di culto incontra si racconta alla stampa

3 Novembre 2017 alle 11:47

Robert Kirkman ha 38 anni ed è uno dei più acclamati fumettisti e sceneggiatori al mondo. Conosciuto dal grande pubblico per «The Walking Dead» e «Outcast», è arrivato al Lucca Comics & Games 2017 con tutta la sua (nota) ironia per raccontarci passato, presente e futuro delle sue opere. Cn un breve focus su «Oblivion Song», la sua nuova serie a fumetti in arrivo nel 2018.

Ecco il resoconto dell'incontro organizzato in collaborazione con l'editrice Saldapress (per la parte fumetti) e Sky Italia (per la parte telefilm).

Chi è secondo lei un eroe? Come lo definirebbe?
«L'eroe è una persona capace di uscire dalla sua zona di comfort. La cosa più importante in un eroe è l'elemento del sacrificio. Un gesto altruista che viene fatto naturalmente, senza nessun tipo di interesse personale. Mettersi in gioco per gli altri, è essere eroi».

Può parlarci di «Oblivion Song», realizzato con il fumettista italiano Lorenzo De Felici? Ci sono influenze italiane nel fumetto?
«Ho cercato di indagare se in quest'opera ci sia effettivamente l'influenza estetica di un italiano e non mi sono dato ancora una risposta. Magari c'è, ma non l'ho intuita e non l'ho trovata nell'opera. Sicuramente c'è una grande sensibilità nel modo di lavorare di Lorenzo De Felici, una sensibilità che è tipicamente italiana».

Ci può anticipare qualcosa sull'ambientazione?
«Il mondo di Oblivion Song è diverso da quasi tutto quello che ho fatto in passato: l'ho creato da zero, è un ecosistema completamente nuovo che parte da una base scientifica. Tutto deve essere credibile e vero per il lettore, è uno degli aspetti che ho curato di più».

Ha intenzione di riprendere in mano la serie «Invincible»?
«La mia idea di fondo è immaginarmi da vecchio mentre guardo un numero di "Invincible" e trovare tutto quello che non mi piace, vedere idee datate e cose che hanno fatto il loro tempo. Mi piace l'idea che un fumetto possa avere un inizio, uno svolgimento e anche una sua fine. Sono contento che una serie supereroistica, finalmente, abbia una fine precisa. È in lavorazione un film e sono a stretto contatto con chi ci sta lavorando per dare forma alla sceneggiatura».

Cadere, anche in senso lato, è un evento ricorrente delle sue opere.
«Il mio modo di affrontare le difficoltà è quello della fuga e quindi anche della caduta mentre si corre via dal pericolo. In questo periodo politicamente delicato, faccio qualcosa di diverso: cerco di ignorare Trump inserendo nelle mie storie messaggi pieni di positività e speranza. Aspettatevi quindi in "The Walking Dead" più scene di danza e canto!» (ride)

Di cosa ha paura Robert Kirkman?
«Tutti hanno paura di più cose. Le paure sono dentro e fuori di noi. Anche io, come tutti, ho un punto di rottura, una linea che in teoria non voglio attraversare: quella è la linea della paura. A volte, attraversare quella linea non è per forza un evento negativo».

Outcast, il telefilm
«Ci sono stati dei problemi di ristrutturazione interna che hanno ritardato la messa in onda della seconda stagione. Oggi siamo tutti in attesa per capire lo sviluppo della situazione. Spero davvero di poter continuare, per quanto detesti lavorare con l'attore Patrick Fugit!» (ride)

I temi famigliari sono molto ricorrenti
«Sono sposato e ho due figli. In generale chi scrive, scrive di quello che conosce. Coinvolgere la famiglia dà sempre forza a una storia. Se vi racconto che perdo un bus, forse la storia potrebbe apparire un po' noiosa. Se lo perdo con i miei bambini sono sicuro che tutto apparirà molto più appassionante. Le famiglie ci complicano la vita in un modo meraviglioso e interessante».

La speranza in The Walking Dead
«Molti dicono che in "The Walking Dead" non ci sia speranza. Io sono convinto che ce ne sia tantissima. La differenza tra il telefilm e il fumetto è che io ho una superficie illimitata sulla quale operare, quindi posso aprirmi alle storie con un maggior respiro. Nel telefilm tutto è più condensato ma sono anche convinto che il lavoro fatto da Romero prima della sua scomparsa ha mostrato che la speranza è sempre presente. Addirittura negli zombie c'è un evoluzione che li rende in qualche modo più pacifici. Insomma, lo spiraglio si vede sempre e io lo vedo bene presente».

C'è qualche personaggio che farebbe tornare in «The Walking Dead»?
«Sarebbe sbagliato dire a quali personaggi tengo perche a loro sono legati degli attori, sarebbe poco rispettoso. Però certamente Tyreese Williams era il migliore!» (ride)

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