Zerocalcare, con “Questo mondo non mi renderà cattivo” «È il momento della grande ansia»

La nuova serie animata del fumettista arriva su Netflix

8 Giugno 2023 alle 08:01

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Se uno ci pensa per un attimo, fa fatica a credere che in poco più di dieci anni il mondo di Zerocalcare sia passato dai fumetti autoprodotti e caricati online alla piattaforma di streaming più conosciuta al mondo. Ovvero: dalla nicchia al nazionalpopolare. Sembra incredibile, invece è tutto vero, talmente vero che pochi giorni fa Elisabetta Villaggio, la figlia del grande Paolo, ha spiegato che proprio nei personaggi di Zerocalcare rivede qualcosa di Fantozzi, il ragioniere che come pochi altri ha saputo raccontare la società italiana e incarnare quel senso di nazionalpopolare, appunto. L’accostamento arriva a pochi giorni dalla pubblicazione su Netflix di “Questo mondo non mi renderà cattivo”, seconda serie animata che il romano Michele Rech ha scritto, diretto e interpretato e che sarà disponibile dal 9 giugno.

Come nella prima serie, è lui doppiare gran parte dei personaggi, con l’eccezione dell’armadillo, metafora della sua coscienza, che ha la voce di Valerio Mastandrea. Dopo la storia universale di “Strappare lungo i bordi”, che parlava di sentimenti e amicizia, ecco una vicenda più politica, che racconta cosa succede in un quartiere di Roma all’indomani dell’apertura di un centro per migranti.

«È il momento della grande ansia» comincia Zerocalcare «Una volta che hai fatto una serie che ha avuto così tanto consenso trasversale, se pensi di voler rifare quella stessa roba hai già perso in partenza».

Però sarebbe stato molto semplice andare in scia a “Strappare lungo i bordi”, invece hai scelto una strada molto più radicale.
«Tutto parte dal presupposto che in realtà questa serie è stata scritta prima di “Strappare lungo i bordi”. Io avrei voluto iniziare con questa e poi mi son reso conto che non avevo gli strumenti narrativi per farlo. Nel senso che stavo lavorando a “Rebibbia Quarantine”, la serie sui giorni del lockdown che ho realizzato per Propaganda Live. Mi ero un po’ rodato sulla narrazione di breve respiro, dei segmenti da 5-6 minuti, e quindi mi rendevo conto che non padroneggiavo abbastanza il mezzo per fare una serie che avesse un respiro orizzontale. Quindi è come se l'avessi messa in stand by. Una volta che ho preso un po’ le misure non soltanto del mezzo, ma anche delle persone con cui ho lavorato, mi son detto che i tempi erano maturi per fare questa cosa. Probabilmente se questa fosse stata la prima serie per Netflix, una parte del pubblico si sarebbe alienata prima ancora di guardarla, mentre invece, avendo ormai un po’ conosciuto i personaggi ed essendosi un po’ affezionato al cast, avrebbe voluto vedere come il cast si sarebbe comportato all'interno di situazioni più complicate, più divisive. In qualche modo secondo me è qualcosa di interessante pure per chi guarda».

Sei sempre stato convinto di continuare con questo oppure hai avuto qualche tentennamento?
«Che questo fosse in qualche modo un punto d'arrivo non ho mai avuto dubbi. Ma perché in realtà anche con i miei libri non mi interessa continuare a fare sempre la stessa cosa, quanto provare a usare il fatto che le cose vanno bene per parlare di questioni più complicate».

E Netflix come ha preso questa nuova serie? La prima parlava di sentimenti, era naturalmente più universale. Questa è molto più italiana.
«Ma guarda li avevo già convinti alla prima botta, nel senso che li avevo convinti prima di “Strappare longo i bordi”. Quindi non c'è stato particolare problema. Poi è vero che l'ambientazione è molto romana, però penso che i temi che attraversa questa serie siano i temi della modernità in tutto l'Occidente».

Prima parlavi dei personaggi alle prese con nuove situazioni. Mi viene da dire che sono alle prese anche con i primi compromessi della loro vita, con quel momento in cui si scende a patti con la realtà e inizia l’età adulta. Se avessi fatto questa serie dieci anni fa, sarebbero stati così i personaggi?
«Se l'avessi fatta dieci anni fa, anche i personaggi avrebbero avuto dieci anni di meno e quindi probabilmente sarebbero stati molto meno disillusi e molto meno amareggiati. Quindi sarebbe stata tutta diversa, perché i personaggi a 25-30 anni si sarebbero comportati in maniera differente di come si comportano a 35-40, perché in qualche modo comunque vedono che la vita gli sfugge via senza riuscire a raggiungere nessuna delle tappe che si erano dati».

Hai sempre raccontato che i tuoi amici nella vita reale, a cui sono ispirati i personaggi, non hanno mai seguito la tua carriera da fumettista, che hanno letto poco o niente di quello che hai pubblicato. Con la serie su Netflix è cambiato qualcosa?
«Intanto Secco non ha mai letto neanche un libro mio, mai. E invece ha visto la serie».

E infatti ho letto che hai riportato un suo commento, in cui diceva che eri un venduto. Davvero è andata così?
«È andata così, purtroppo il problema è sempre capire quello che sono i rapporti sociali, le persone e Secco in particolare. La frase esatta era: “Sei un venduto e mi hai venduto”. Al che io ho risposto: “Ma vaff**culo” e lì abbiamo iniziato a parlare come se niente fosse. Perché è solo il suo modo di dire che che ha visto la serie. Ecco, sì, rispetto ai libri diciamo che effettivamente l'hanno vista un po’ tutti perché era la novità, ma vai a capire se vedranno la seconda».

Essendo uscita con Netflix, “Strappare lungo i bordi” è andata sulle televisioni di tutto il mondo: hai ricevuto pareri dall’estero?
«Dall'estero ho avuto sostanzialmente tanti feedback positivi dalla Spagna o comunque da Paesi ispanofoni. Ho avuto veramente un sacco di feedback, anche di attesa per la seconda serie. Dagli altri Paesi a me ne sono arrivati veramente pochi, che si contano sulle dita di una mano sono stati tutti buoni, nel senso che se uno va a guardare le recensioni online, sono nettamente tutte buone, però parliamo di poche persone quindi non è che ci sia un grosso campione su cui fare affidamento. In alcuni casi, poi, il tema ha anche frenato: nella prima serie si parla anche di suicidio, che è un argomento su cui il pubblico statunitense ha bisogno di molti avvisi, i cosiddetti trigger warning, molto più che il pubblico italiano, perché là funziona così. Che una serie parli di suicidio non è qualcosa che puoi scoprire a metà o alla fine, è qualcosa a cui devi essere molto più preparato e questo fa riflettere anche sui diversi approcci alla fruizione nei diversi Paesi».

A proposito di reazioni, nella serie usi più di una volta una parola per indicare gli omosessuali che è ritenuta da tutti un insulto e non è più accettata nel discorso comune: non hai paura di polemiche su questo?
«Eh guarda, con me il tema è sempre quello di cercare di capire come ci si rapporta con i personaggi di finzione. Io quella parola non la uso mai nella vita reale, però se metto in scena dei personaggi che sono omofobi o sono razzisti, devo cercare di rendere il modo in cui parlano. È una questione un po’ più complessa di come viene affrontata di solito. Posto che penso che marciamo tutti nella stessa direzione, io penso che anche mettere in scena i conflitti e poi praticarli vada nella stessa direzione. Quindi bisogna capire come tenere insieme tutte queste robe».

E cosa pensi dell’accostamento tra i tuoi personaggi e il Fantozzi di Paolo Villaggio?
«Io di mio rifuggo da tutti gli accostamenti, anche perché vengo dal fumetto e ho passato una vita sentirmi dire: “Beh, ma Andrea Pazienza è più bravo!” e cose del genere. Quindi cerco di evitare qualsiasi accostamento. Però sono uno di quelli che da ragazzino ha molto amato Fantozzi, soprattutto il primo Fantozzi. L'ho trovata una rappresentazione molto divertente, molto vera della società italiana e quindi se la figlia di Paolo Villaggio ci trova delle cose in comune a me mette imbarazzo, però ovviamente mi fa piacere».

Ultimissima cosa. In una delle prime puntate, due personaggi vanno in gelateria e su una parete è attaccato un cartello: “La panna montata sul gelato è gratis, perché non siamo a Milano”. Da milanese ti chiedo: ma veramente a Roma non si paga un extra per la panna montata? Per me è fantascienza.
«Ma certo! (ride, NdR) Ma io ti chiedo: ma è vero che la fanno pagare a Milano? È un disagio che ti facciano pagare la panna montata».

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