John McCook: «E pensare che volevo dire di no a “Beautiful”»

Dalla prima puntata della soap, 33 anni fa, impersona Eric Forrester: «Per me è una brava persona»

John McCook
26 Novembre 2020 alle 09:07

Il magnate della moda ha una voce calda e suadente. Pesa le parole e ogni tanto si concede quella esitazione che ti fa chiedere chissà quale ricordo gli sia tornato in mente… Siamo virtualmente a Los Angeles, faccia a faccia con Eric Forrester. Meglio, con John McCook che gli dà vita ed emozioni dalla prima puntata di “Beautiful”.

A John/Eric vorremmo rubare un segreto “aziendale”: 30 anni e sei mesi dopo l’esordio di “Beautiful” in Italia (era il 4 giugno 1990; negli Stati Uniti la soap era partita tre anni prima), noi ancora ci raccogliamo ogni giorno in quasi tre milioni a seguire su Canale 5 le vicende di questo universo di amori, odi e umanità varia. Perché? Chi meglio di lui potrebbe rispondere, visto che da lui è partito tutto.

Signor McCook, torniamo alla fine del 1986. Un giorno suona il telefono…
«Sì, era Bill Bell senior, il creatore di “Beautiful”. Lo conoscevo, avevo lavorato per lui anni prima in “Febbre d’amore”. Mi disse che aveva pensato a un nuovo show e voleva chiedermi se volevo esserci. Ero sorpreso, lusingato, felice. Ma pensavo che forse era meglio dire di no. Mi dicevo: basta con queste soap opera… Stavo facendo teatro e altre cose in tv, non ne avevo bisogno. Ne parlai a mia moglie Laurette e lei mi disse che rifiutare era da pazzi: “Male che vada lavorerai per cinque anni!”. Aveva ragione! Mi ritrovai qualche giorno dopo con Susan Flannery, che avrebbe interpretato Stephanie, e con Bell che costruiva il cast intorno a noi due».

Come le descrisse Eric?
«Bill disse subito che sarebbe stato ben più vecchio di me, ma che non c’era problema: bastava un po’ di grigio nei capelli. E poi: Eric è un colosso della moda, famoso in tutto il mondo, ma questo non c’entra, perché “Beautiful” è il racconto di una famiglia, e il mondo della moda è solo cornice. Non è cambiato molto, direi. Ma adesso il grigio nei capelli è più naturale».

Se mi parla di famiglia, le devo chiedere subito delle cinque mogli di Eric. Me le descriva in una parola.
«Stephanie era una donna d’affari, Brooke la freschezza, Sheila il pericolo, Donna l’eccitazione, Quinn il fascino. E direi che le mogli sono tutte qui».

E dei nove matrimoni di Eric che cosa mi dice?
«Che in “Beautiful” i matrimoni non sono mai solo matrimoni: c’è sempre una vicenda dietro che li regge, una rivelazione. Il più esaltante forse è stato il primo con Brooke, a Palm Springs: ricordo il deserto, la nostra “fuga” in mongolfiera… Il peggiore è stato il secondo tentativo con Stephanie, quello non celebrato. Del resto quando il prete aprì la Bibbia e ci trovò dentro una foto di me e Lauren (Tracey E. Bregman, ndr) a letto, la situazione s’era fatta imbarazzante».

La sua vera moglie Laurette si innamorerebbe di uno come Eric?
«No, anche se Eric mi assomiglia sempre di più. Lei preferirebbe comunque me, un attore normale, che vive a Los Angeles, fa un buon lavoro e ha una bella famiglia».

C’è una cosa che mi colpisce da sempre: come si reagisce quando, per dire, il giorno prima Ridge ha la faccia di Ronn Moss e il giorno dopo quella di Thorsten Kaye?
«Le reazioni sono due. La prima: per definizione un attore deve restare “impassibile” di fronte a situazioni del genere. C’è un “re-casting”? Perfetto, volti pagina e lavori con il nuovo interprete. La seconda: in realtà è difficilissimo, perché devi capire subito come attaccarti alle caratteristiche positive del nuovo attore. Io sono molto felice di lavorare con Thorsten, è il tipo di persona che mi piace avere come amico e il tipo di attore che mi piace avere come collega. Ma certo che apprezzavo anche Ronn e gli volevo bene».

Voi del cast siete davvero una grande famiglia?
«Si passa così tanto tempo insieme che sarebbe impossibile non conoscersi benissimo. Ma non è che fuori dal set ci si veda poi così tanto, al di là di qualche party. Ogni volta che sento un giovane attore dire: “Amo questo show, siamo come una famiglia”, mi viene subito da dirgli: “No, non è la tua famiglia, è il tuo lavoro, ed è meglio che tieni le cose ben separate”».

In Italia “Beautiful” rimane un successo eccezionale. Qual è il suo “Italian factor”?
«Per gli americani, gli italiani hanno una caratteristica unica: riescono a mettere calore ed emozione anche nelle cose più normali della vita quotidiana. È un po’ un luogo comune, lo so, ma secondo me è proprio questo tipo di entusiasmo che può rendere interessante “Beautiful” anche quando non succede qualcosa di travolgente».

Lei conosce l’Italia?
«Da prima di “Beautiful”! Nel 1980, il giorno dopo il matrimonio, Laurette e io siamo volati a Roma per girare un film tv, “Tourist”. Abbiamo posato le valigie nell’albergo del cast e siamo corsi in stazione a prendere un treno per Venezia, dove siamo stati due giorni in luna di miele. Sono poi venuto anche per girare alcune puntate di “Beautiful” e per qualche evento a Milano. Vorrei tornarci presto».

Qual è la scena più difficile che ha mai girato?
«Più la situazione è complicata, anche emotivamente, e più io, da attore, mi diverto. Naturalmente la scena più scioccante è stata quella della scoperta del vero padre di Ridge, e dunque delle bugie di Stephanie. Come difficoltà materiale, invece, penso a quella volta in cui dovevo starmene nudo in piedi sul davanzale di una finestra: Stephanie bussava alla porta della camera dov’ero con Donna, la mia amante, e non potevo che nascondermi lì, con i piccioni che mi giravano tra i piedi».

Si stupisce mai leggendo le nuove sceneggiature?
«Sì, certo. Ricordo la rivelazione della storia segreta tra Eric e Quinn. Si vedeva lei entrare in una camera da letto e dire qualcosa del genere: “Tu non mi basti mai”. Poi la macchina da presa si spostava e rivelava che nel letto c’ero io. Il pubblico è rimasto sorpreso, ma vi giuro che anch’io e Rena Sofer eravamo allibiti da questa situazione».

Ha ancora qualcosa dei primi giorni delle riprese?
«Nel mio camerino (lo stesso da sempre!) c’è una lampada che era sulla scrivania nell’ufficio di Eric alla Forrester. A un certo punto decisero di cambiare qualcosina dalla scena. Poche cose, ma la lampada sarebbe stata tolta, così l’ho presa io. Se mai dovessi lasciare lo show, me la porterei a casa».

Da Eric, invece, che cosa prenderebbe?
«Nulla, se non la facilità con cui può viaggiare. Ecco, vorrei il suo aereo personale».

Quando la gente le chiede l’autografo, lei firma John o Eric?
«Sempre John McCook».

Qualcuno si è mai mostrato deluso di non vedere la firma di Forrester?
«Un paio di volte, forse… Ma mi ha sempre colpito la sensibilità del nostro pubblico negli incontri: è gratificante vedere quanto sappiano distinguere tra noi attori e i nostri personaggi».

Ma c’è qualcosa del personaggio Eric che appartiene davvero a John?
«Per molti anni Eric è stato definito una persona serissima. Io progressivamente gli ho dato un po’ di ironia. Non è che sia un personaggio “divertente”, ma aveva bisogno di un po’ di humor».

Lei vede “Beautiful” in tv?
«Certo, con mia moglie. Non tutti i giorni: guardiamo più puntate insieme, registrate, per tenerci aggiornati».

Eric è un buono o un cattivo?
«Credo che sia un personaggio molto positivo. Ha fatto degli errori, certo, ma è una brava persona, anche perché sa vedere il meglio in ogni persona che incontra. C’è chi considera noioso interpretare un buono: io no. È bello interpretare un uomo dal grande cuore che, di tanto in tanto, fa degli errori: li fa perché ha un’anima. E poi, certo, c’è anche quel debole per le donne che causa alcuni guai...».

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