Stefano Jurgens: «Ora ho capito il piacere di stare in scena»

Lo storico autore di testi e canzoni esce da dietro le quinte grazie a Bonolis e si racconta

Stefano Jurgens durante una puntata di "Avanti un altro!"
16 Maggio 2021 alle 09:13

Qualcuno li definisce invisibili, professionisti dietro le quinte. Lavorano come le star, costantemente al loro fianco, senza essere famosi. Preziosi angeli custodi e responsabili dei contenuti dei programmi. Sono gli autori televisivi. Quando si tratta di mostrarsi in video fanno un passo indietro. Qualche volta, però, ci mettono anche la faccia.

Come nel caso di Stefano Jurgens, storico autore di “Avanti un altro!” che da anni è diventato, con Marco Salvati, anche giudice del programma. Stefano, paroliere e autore di programmi di successo, è figlio d’arte (il papà Maurizio era un noto autore e sceneggiatore).

Stefano, ma quanto fa ridere con i suoi travestimenti da Uomo Ragno, da pastore tedesco…
«Ci divertiamo perché siamo veri amici. Io e Paolo ci conosciamo dai tempi di “Tira & molla”, quindi da 25 anni. È lui che tiene le fila di questo “circo” (ride)».

Domande bizzarre e battute nonsense. Ma dove le tira fuori certe idee?
«Nascono spontaneamente. Noi autori e collaboratori diamo a Paolo i cosiddetti “spiedini” o “domande supposte” in modo da dargli lo spunto per scherzare con i concorrenti. I nostri quiz non sono seri, ma strampalati».

Abituato a stare sempre dietro le quinte, quando deve andare in video quanto tempo trascorre al trucco?
«Solo la base che serve ad omologare la pelle con quella degli altri. Per una questione di luci».

Qual è la maggiore difficoltà per un autore?
«L’autore deve conoscere il linguaggio, il carattere, l’ironia del conduttore. È il suo sarto personale. Io sono molto timido e sto sempre un passo indietro per indole».

Come gestisce i capricci di un artista?
«La verità è che sul capriccio di un personaggio è difficile spuntarla. Il conduttore, come anche l’attore, è un bambino che devi saper prendere per il verso giusto».

Le è mai capitato uno difficile?
«Sì. Adriano Celentano con cui ho fatto un’edizione di “Fantastico”. Per preparare il programma, io e due colleghi siamo stati a Galbiate, in provincia di Lecco, a casa sua. Per tre mesi, alla mattina e al pomeriggio ci siamo confrontati su tutto. Per la prima puntata il copione era alto come tre Bibbie. Lui sembrava avere capito ogni dettaglio. Dopo prove e controprove, arrivò il gran giorno. Una volta aperto il sipario, Celentano stette in silenzio per sei minuti, che in tv sono un’eternità. Da animalista, iniziò a tirare fuori la storia delle foche, a fare monologhi sull’inquinamento. Tutte cose fuori copione… Io cominciai a prendere calmanti. A fine serata gli chiedemmo perché non avesse ripetuto le parole che gli avevamo scritto. Rispose che lui sapeva solo cantare».

E un’incomprensione?
«Una volta, scrivendo uno sketch per Heather Parisi, lei doveva pronunciare la parola banana. Non c’era alcun doppio senso ma lei si arrabbiò e ribaltò il camerino…».

Personaggi di cui è diventato amico?
«Corrado e Paolo Bonolis».

A proposito di Corrado. Nella famosa canzone “Carletto”, il bambino era suo figlio Simone…
«Un giorno ero nello studio con Corrado che aveva ricevuto una cassetta con la musica della canzone. Mi disse: “Ste’, pensaci tu per le parole”. Scrissi il testo. Lui però, non volendo cantare, pensò di darla a Mike Bongiorno e mentre lo pensava, scimmiottava la voce del collega: “Ahiaiai Carletto, que-sto non si di-ce. Que-sto non si fa!”. Mi mandò a Milano da Mike che impazzì letteralmente, tanto che chiamò Ravera, organizzatore del Festival di Sanremo, dicendogli che avrebbe partecipato fuori gara con un pezzo strepitoso. Poi Mike sparì. Dopo qualche giorno Corrado riuscì a telefonargli e lui candidamente rispose: “Mi spiace, ma mia moglie Daniela non vuole che io interpreti questa canzone”. Corrado non voleva buttare via il pezzo. Stavamo preparando “Fantastico” e ci trasferimmo tutti con le rispettive famiglie a Milano, nello stesso residence. Corrado decise: “Non la canto, semmai la interpreto parlando, ma mi serve un bambino per il ritornello”. Poi guardandomi, mi chiese: “Me lo presti tuo figlio?”. Dissi ok. Simone aveva 3 anni. Comunque il brano restò tra i primi dieci in classifica per molte settimane. Fecero meglio di noi solo Julio Iglesias e la Carrà».

L’artista più strano?
«Più che strano, dispettoso (sorride). Ed è Johnny Dorelli con cui ho lavorato a “Finalmente venerdì”. Stabilivamo una frase, lui apparentemente la condivideva, salvo poi dire davanti agli altri: “Gli autori mi suggeriscono di dire…” prendendo le distanze. E poi voleva il gobbo con le note e con le parole di “Carissimo Pinocchio” che era praticamente la sua canzone… Un uomo intelligente quanto spiritoso».

Lei è anche un talent scout. Ci ricorda qualche artista che ha lanciato?
«Fabrizio Frizzi. Conservo gelosamente uno dei suoi messaggi nel quale mi ringraziava per averlo lanciato come conduttore del mio programma per ragazzi “Il barattolo” nel 1980. Lo ricordo con questa voce grossa e che rideva sempre. Una persona adorabile. Poi Donatella Bianchi, nata come valletta di Corrado a “Domenica in” ed Ela Weber soprannominata da Bonolis “sellerona” per la sua altezza».

Ha mai pensato di fare il conduttore?
«Sinceramente sì, ma è difficile. Dopo tanti anni ho imparato a conoscere vizi e virtù di questo ambiente. Quando mi capita di presentare in qualche pubblica occasione, la gente si diverte. Magalli faceva l’autore della Carrà. Poi lei si è assentata per qualche giorno e lui l’ha sostituita…».

Se dovesse descrivere uno studio televisivo, che parole userebbe?
«Carta, cartone, paillettes, colori, luci, racconti. Tanta gente che ci lavora dentro e dietro le quinte. Uno spazio dove proiettiamo i sogni della gente. E non può mai mancare il rapporto di stima e di rispetto tra chi ci lavora. Ogni volta che entra la signora delle pulizie, Bonolis chiede un applauso per quello che fa».

L’autore divide trionfi ma anche qualche insuccesso con i personaggi. In quel caso bisogna fare un doppio lavoro: rincuorare se stessi e confortare l’artista…
«Capita per fortuna raramente. In genere i grandi conduttori se ne fanno una ragione e un calo di ascolti si traduce in un motivo in più per fare meglio il giorno dopo. L’unico flop che ho fatto è “Italiani” con Bonolis che andò in onda nel periodo dell’attentato alle Torri gemelle. La gente, invece che seguire noi, guardava i grattacieli che cadevano…».

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