Come sarà la televisione del futuro: tutte le novità dal Ces di Las Vegas

A Las Vegas si parla della prossima rivoluzione televisiva: sarà online, on demand e aperta a tutti gli operatori. Davvero, come sostiene l'amministratore delegato di Netflix, entro 15 anni la tv generalista scomparirà?

11 Gennaio 2015 alle 19:26

di Alex Adami da Las Vegas 

A LAS VEGAS SI PARLA DELLA PROSSIMA RIVOLUZIONE TELEVISIVA: SARÀ ONLINE, ON DEMAND E APERTA A TUTTI GLI OPERATORI. DAVVERO COME SOSTIENE REED HASTINGS, AMMINISTRATORE DELEGATO DI NETFLIX, ENTRO 15 ANNI LA TV GENERALISTA SCOMPARIRÀ?

Si è appena conclusa a Las Vegas l’edizione 2015 del Ces, la più grande rassegna mondiale dedicata alle nuove tecnologie. Come al solito si è visto di tutto: qualche buona idea (soprattutto nel campo del fitness e della salute), parecchie assurdità (centinaia di produttori di droni domestici) e qualche esagerazione (nuovi televisori 8K capaci di una risoluzione doppia rispetto ai 4K, a loro volta capaci di una risoluzione quadrupla rispetto a una tv full hd che, fatta eccezione per i circa 8 milioni di abbonati alla pay tv, nessun italiano ha potuto ancora sperimentare stabilmente). Ma andiamo con ordine.

Già, perché di tv e delle abitudini dei telespettatori si è molto parlato nelle conferenze di Las Vegas. E la rivoluzione in arrivo potrebbe davvero cambiare la vita di tutti. Ancora una volta, il cambiamento arriva dalla Rete. Porta un nome oscuro: OTT television. Dove OTT sta per «Over the top», ovvero «al di sopra di tutto». Per farla semplice, si tratta di una distribuzione di contenuti televisivi (serie tv, film, show, ma anche dirette sportive, in alcuni casi) operata attraverso internet da editori che non hanno necessità di mantenere una costosa struttura di emissione e trasmissione di segnale televisivo (niente satelliti né multiplex del digitale terrestre, in sostanza: basta la rete internet, che già arriva nella maggior parte delle case).

Dal punto di vista dell’utente, invece, la distribuzione via internet permette di far partire il programma tv su richiesta e di visualizzarlo con qualunque dispositivo collegato alla Rete, che sia un televisore, una console per videogiochi, uno smartphone o un tablet. Non va trascurato, in questo senso, il dato emerso di recente da uno studio americano: per la prima volta nel 2014 il tempo medio passato davanti a uno schermo «smart» (tablet o smartphone) da un singolo individuo oltreoceano ha superato quello speso davanti alla tv tradizionale.

È singolare invece il fatto che in Italia i due primi operatori di OTT TV siano, in ordine di debutto, Mediaset e Sky, che hanno varato, rispettivamente, «Infinity» e «Sky online». In entrambi i casi si tratta di manovre «tattiche», volte probabilmente a bruciare sul tempo eventuali nuovi concorrenti. Ma se si guarda agli Stati Uniti la storia dimostra che nel campo della OTT TV più che la tempestività e il nome contano i contenuti e l’aggressività dell’offerta. E in questo senso è sintomatico che due delle serie tv di punta delle nostre pay tv «tradizionali» («House of cards» di Sky e «Orange is the new black» di Mediaset Premium) siano state prodotte dal maggior operatore di OTT americano, Netflix.

Ed è stata proprio una recente dichiarazione di Reed Hastings, boss di Netflix, ad aver innescato la maggior parte degli interventi a Las Vegas. Secondo Hastings entro 15 anni la tv tradizionale (quella cosiddetta «lineare», con palinsesti rigidi) non esisterà più. Nel 2030, in sostanza, tutta la tv, a eccezione degli eventi in diretta, inizierà su richiesta dello spettatore e sarà distribuita via Internet. Guai grossi in arrivo per Rai, Mediaset e Sky? Non è detto. Non ancora, almeno. Il dibattito è aperto.

«Il fatto che si stiano moltiplicando le piattaforme attraverso cui diffondere contenuti televisivi permette di esplorare nuove opportunità di distribuzione delle nostre produzioni e alla fine potremo raggiungere un pubblico ancora più ampio» ha rilevato Jim Lanzone, amministratore delegato di CBS Interactive, divisione «digitale» del colosso televisivo americano. Ha aggiunto Dave Shull, passato alla direzione commerciale di Dish Network dopo una vita in Disney e Espn: «La vera incognita, visto il moltiplicarsi dell’offerta, è se il pubblico accetterà una tale frammentazione dei contenuti o se cercherà una grande piattaforma che aggreghi tutto con la massima semplicità possibile. Sarà proprio il pubblico a decidere come si svilupperà da qui in poi la tv».

Di certo la distribuzione di contenuti tv via Internet avrà un forte impatto sulle rilevazioni d’ascolto. Che saranno empiriche, aritmetiche, e non più frutto di elaborazioni statistiche (spesso contestate dagli stessi editori di tv) basate su campioni di pubblico. «La sempre maggiore diffusione della tv via Internet, unita al fatto che Nielsen (la società che si occupa delle rilevazioni d’ascolto televisivo negli Stati Uniti, ndr) è pronta a misurane l’effettivo consumo, avrà un impatto molto importante sul mercato pubblicitario». Ne è certo Eric Berger, direttore generale di Crackle, piattaforma OTT TV che fa capo Sony. «Di certo il 2015 sarà il più fantastico e competitivo anno che la televisione abbia mai vissuto» ha sentenziato Roy Price, vicepresidente di Amazon Studios, la piattaforma OTT del grande operatore americano.

Insomma, che cosa dobbiamo aspettarci? Davvero la tv come la intendiamo oggi è destinata a morire? David S. Cohen, firma storica del mitico magazine americano «Variety», ha espresso in uno dei suoi più recenti editoriali una visione piuttosto chiara: «Tutti noi conosciamo la litania. La tv tradizionale è troppo costosa da mantenere. Gli ascolti scendono. Il pubblico si polverizza. I più giovani stanno perdendo l’abitudine di stare davanti alla tv. I telespettatori che sopravvivono non ne possono più di sorbirsi tutta quella pubblicità (…). Le previsioni di Reed Hastings di certo si avvereranno se la tv tradizionale resterà immobile, legata a vecchie tecnologie e a vecchie abitudini di visione».

In quale modo la tv può rinnovare? Cohen suggerisce di utilizzare una parte dello schermo per dei banner pubblicitari che sostituiscano le interruzioni: «La Nbc e Fox hanno sperimentato questo sistema durante le partite di calcio. Agli spettatori non è piaciuto, ma nessuno di loro ha cambiato canale». Pare evidente, però, che il flusso di denaro garantito dai «banner» difficilmente sarebbe paragonabile a quello della pianificazione tradizionale.

Resta ancora una cosa da dire: a Las Vegas si è parlato di OTT TV in relazione agli Stati Uniti. Ma in Italia la situazione è molto differente. Siamo indietro non di uno, ma di due passi. Per la OTT TV è necessaria una connessione Web stabile e veloce. Un miraggio, per molte zone d’Italia. E se è vero che i nostri operatori di tv, a quanto risulta, stanno lavorando alacremente al fianco di operatori delle telecomunicazioni, resta il fatto che Sky, a cui si deve l’introduzione dell’alta definizione in Italia, per ora non diffonde i propri contenuti in Hd sulla propria piattaforma online. Mediaset Premium sì, ma solo dopo un’analisi della connessione dell’utente, e con un segnale compresso. Negli Stati Uniti stanno pensando alla OTT TV come mezzo principale per la diffusione dello standard 4K, quello dell’«ultra hd».

Insomma, per goderci nel migliore dei modi la tv online dovremo aspettare davvero il 2030. A proposito: se il commesso di un grande magazzino vi dirà che senza un televisore 4K non siete al passo con i tempi, non credetegli. Per gli spettatori della tv italiana va benissimo una comune tv hd, che costa la metà. E poi non sareste al passo coi tempi neppure con un televisore 4K, visto che a Las Vegas hanno appena presentato gli schermi 8K…

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