Teo Teocoli, vita (felice) di un comico instancabile

Torna da Fabio Fazio nei panni di Caccamo e sarà protagonista di una puntata speciale in onda su Zelig TV. Ha 74 anni ma continua a dividersi tra tv e teatro. «Se lo spettacolo va bene non sento nessuna fatica»

Teo Teocoli
25 Aprile 2019 alle 09:45

L'appuntamento è nel suo studio al quartiere Maggiolina, Milano nord, edilizia Anni 50. Ultimo piano; dentro, un televisore trasmette Celentano che canta “24 mila baci”. «È un caso, giuro» mi dice Teo Teocoli, più dinoccolato e magro del suo modello. Occhiali da vista, battuta sempre pronta. «Abito con la famiglia più in centro, ma vengo qui a passare il tempo libero: scribacchio, penso, vado al bar di sotto a far casino. In questo quartiere ho vissuto fino ai trent’anni, qui vicino ho ancora la mia mamma. E c’è il Seveso che straripa ogni due per tre. Vede quello? È il pupazzo di “Emilio”. Ho tutti i “Tex Willer” della prima serie, un patrimonio, e la collezione dei Beatles in vinile. Sono uno che si attacca alle cose».

«Voglio bene a Fabione»

Teocoli torna in tv. Con una puntata omaggio su Zelig TV, intervistato da Giancarlo Bozzo per la serie “Stars”. E con le ospitate da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”. «A Fabione voglio bene. Da lui rifaccio Caccamo, che è sempre popolarissimo. Allo stadio attaccarono uno striscione da 100 metri, “Caccamo Re di Napoli”. Non era neanche una partita del Napoli ma dell’Italia: rimasi impietrito, quasi mi vergognai. L’altra sera da Fazio c’erano Ale e Franz, e Giacomo Poretti di Aldo, Giovanni e Giacomo, il cabaret milanese che tanto ha dato. Però nessuno dei cabarettisti milanesi ha capito il cinema, a parte Boldi: non si sono adattati a vivere a Roma. Il cinema è lì, vai in un salotto, uno ti nota e si fa il film. Ne ho fatto un paio con Steno ma sono arrivato tardi, la commedia all’italiana era già finita».

E partono irrefrenabili i ricordi. «Un giorno a Cinecittà mi presentano Fellini. Mi dice: “Vuoi fare cinema? Io sto facendo un film che si chiama ‘La città delle donne’, ho un solo protagonista uomo, Mastroianni: che dici, ho sbagliato?”».

Da Fazio una sera Teo ha ritrovato Massimo Boldi. «È un ipocondriaco, sta sempre male, poi sul set si rianima e grida come un pazzo. Abbiamo sempre fatto il cattivo e il buono, il prepotente e il fesso. Come Stanlio e Ollio. Io lo prendevo a schiaffi, lui diceva: “Bestia, che male!”. E subito dopo: “Sentito niente!”, questo significa che te ne prendi subito un altro. Vorrebbe tornare a fare qualcosa con me in tv. C’è sempre voglia di riproporre con un vecchio partner certe cose, attualizzarle. Vedremo».

Una seconda giovinezza

Per Teocoli è cominciata una nuova fase. «Una seconda giovinezza. Tutto è iniziato una ventina d’anni fa, a Roma, dopo uno spettacolo dal vivo con la Dandini. Ritrovo Pietro Garinei: “A Teocoli, so’ trent’anni che t’aspetto”. Con lui al Teatro Sistina avevo fatto il musical “Hair”, quando ancora c’era la guerra in Vietnam. Che periodo! In platea gli americani piangevano, quelli di sinistra uscivano arrabbiati. Era uno spettacolo talmente forte che alla fine decisi di tornarmene al Derby».

Trent’anni dopo Garinei lo mette sotto contratto per un “one man show”. «E mi sono innamorato del teatro. Ho girato l’Italia almeno 15 volte, da Palermo a Torino; l’unico giorno libero, il lunedì, tornavo a Milano per fare “Scherzi a parte”. Il culmine fu un fine anno all’Arcimboldi, in cui incassarono 300 e rotti mila euro». Tempi d’oro. «Oggi sono calati i biglietti e i cachet, le serate sono diminuite. E bisogna tornare in tv, perché se stai troppo fuori ti dimenticano. I miti sfumano, ci sono ragazzi che non sanno nemmeno chi è Celentano».

Gli chiedo com’è andata davvero con lo spettacolo “Adrian”, dal cui set è fuggito. «Adriano mi chiama: “Ce l’hai fatta, tu sarai me!”. In realtà sono cinquant’anni che lo rifaccio cantando le sue canzoni. Vabbè. Mi spiega: “Nella prima parte di questo nuovo programma tu conduci e sei me”. Ok, facciamolo. Mi mandano a Verona in un albergo costosissimo, a spese mie, mi ci sarei potuto comprare una Panda. Adriano non l’ho più visto, non rispondeva neanche al telefono. Dopo cinque giorni me ne sono andato».

Il momento più alto della sua carriera? «Quando nell’89 Zuzzurro e Gaspare mi chiamarono a “Emilio”, che partì su Italia 1 in sordina e poi diventò di culto. Ma il vero trionfo fu nel ’98 quando feci Maldini, e cominciò una serie di personaggi che non finivano mai; a Sanremo feci il sindaco di Milano Albertini in mutande e fu un trionfo».

Il momento più basso? «Quando dissi a Berlusconi di fare il muratore. Era l’85, con Boldi facevamo ad Antenna Tre “Non lo sapessi ma lo so”, un fenomeno. Ci chiamò Berlusconi offrendoci una cifra pazzesca ma ci chiese di fare da contorno ad altri. Gli dissi: “Lei pensi a costruire Milano 2 e 3 che l’artista lo faccio io”. E tornai al Derby. Quando poi mi proposero “Emilio” i direttori di rete erano contrari perché dicevano che avevo offeso il presidente, ma Berlusconi disse: “Teocoli deve lavorare perché è bravo”. Chiusa lì. E cominciarono dieci anni di successi».

Quando era cantante

Ancora in contatto con Pozzetto? «Con Renato siamo “nemici”. Litighiamo sempre, però ci conosciamo da quando io ero cantante e lui con Cochi faceva le ombre cinesi con le mani al Cab 64. Il mio rammarico è non aver legato il mio lavoro a qualche canzone, come “La vita l’è bela” per Cochi e Renato. Per me Enzo Jannacci scrisse “Il dritto” e io non la cantai, ero un campione di rock’n’roll ma avevo il vizio delle donne, me ne andavo a Saint-Tropez a fare il playboy».

Da cantante Teocoli militava nel gruppo “Quelli”, che poi diventarono la Premiata Forneria Marconi. «A 200 metri da qui c’è Franco Mussida col quale ho provato per l’ennesima volta a imparare a suonare la chitarra. Inutilmente. Franz Di Cioccio una volta mi ha chiesto perché fossi uscito dal gruppo: per andare dal Clan di Celentano, dove ho fatto i due dischi più brutti della musica leggera italiana. Però Adriano mi piazzava in tutte le cose che lui non poteva o non voleva fare, come il Festival di Napoli. Anche per “Hair” volevano lui. “Sono occupato per i prossimi otto anni” diceva “perché non prendete il Teo?”».

Nel cast di “Hair” c’erano Renato Zero e Loredana Bertè. «Lui mi si è avvicinato subito e si è presentato: “Piacere, so’ Renato Zero”. Vado dalla Bertè: “E tu come ti chiami?”. “Saranno ca*** mia!”. Era già lei». Ha conosciuto anche sua sorella, Mia Martini. «Dolcissima. A casa di Loredana ascoltavamo musica come due fidanzatini. Mia andava fortissimo ma aveva due occhi tristi; in quel periodo mi ha dato tranquillità e magari lei non era così solida. Quando poi le misero addosso la fama di portasfortuna ci ha sofferto molto. Per me è morta di solitudine, in un paesino con cui infatti non aveva in comune niente».

Vita da zingaro

Teocoli continua a lavorare come un matto. «Soprattutto teatro. Faccio anche le feste di piazza, e mi diverto molto a esibirmi nei centri commerciali, dove ti vedono 4.000 persone gratis. Ad Assago il proprietario si è raccomandato: massimo un’ora. Ne abbiamo fatte due e mezza. “Guardi” mi dice alla fine “non abbiamo venduto niente ma va bene così, perché non abbiamo mai visto la nostra clientela così soddisfatta”».

L’anno prossimo compirà 75 anni ma non andrà in pensione. «Sono come Boldi, dice che se non fa il film di Natale muore. Non mi fermerò mai perché morirei anch’io. A Milano vado in palestra tutti i giorni, come gli americani penso che la forma fisica sia la prima cosa. Non uso il computer, il mio cellulare non ha Internet ma vivo bene e in modo coerente. La mia è la vita dello zingaro, se c’è da lavorare parto. Faccio chilometri in macchina, al ritorno con meno fatica perché gli spettacoli vanno bene. E quando arrivo a casa sono felice».

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