Toni Capuozzo: «Racconto le guerre e i fatti del mondo»

Il grande inviato firma per Focus un reportage sui 30 anni dall’assedio di Sarajevo

5 Aprile 2022 alle 08:03

«Crimini di guerra? È la guerra che è un crimine». E se c’è qualcuno che l’ha sperimentato di persona è Toni Capuozzo. Il grande inviato firma per Focus (martedì 5 aprile alle ore 22.15 sul canale 35) il reportage “1992-2022 - Ritorno all’inferno” sul trentennale dell’assedio di Sarajevo (che poi andrà in onda anche sabato 9 aprile su Rete 4).

Sarà trasmesso insieme al documentario “Jugoslavia, la morte di un Paese” di Roberto Olla, in una serata tutta dedicata alla guerra di ieri nei Balcani, e anche a quelle che imperversano oggi. Perché ci sono delle somiglianze con quanto sta accadendo in Ucraina, come conferma lo stesso Capuozzo: «La più importante è che si danno battaglia popoli “cugini”, che parlano quasi la stessa lingua. I più ingenui penseranno che questo mitighi la violenza; in realtà è peggio, perché compaiono i tratti della faida».

E anche perché «non esiste la guerra in guanti bianchi. Per questo mi intristisce chi ne parla come fosse una partita di calcio, facendo il tifo per l’una o l’altra parte. Si capisce che non ha mai visto la guerra da vicino, come invece era successo ai nostri padri e ai nostri nonni». Capuozzo di guerre ne ha viste: per tutta la vita (oggi ha 73 anni) è stato sui fronti caldi del pianeta e dice: «Ho perso l’illusione che noi testimoni possiamo cambiare le sorti dei conflitti. Possiamo solo raccontare con onestà quello spicchio di vita che riusciamo a osservare di persona».

Eppure Capuozzo almeno una vita l’ha cambiata, e salvata: quella di Kemal, un bambino che aveva perso una gamba a Sarajevo e che ha portato in Italia per farlo curare, nascondendolo nella sua auto e poi crescendolo come un figlio fino all’età di 6 anni, quando è potuto tornare dai suoi parenti. Un esempio fra tanti di come nulla possa sostituire la presenza sul posto. In un tempo in cui per informarsi ci si affida sempre di più ai social, il lavoro dell’inviato è ancora indispensabile perché «quelli sono commenti e opinioni; il cronista di guerra invece deve raccontare i fatti come li vive e li vede, al di là di fazioni e propaganda».

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