Un museo per il mitico colonnello Bernacca

Siamo andati a Fivizzano (MS) a visitare la mostra dedicata al primo meteorologo della tv

Edmondo Bernacca (1914-1993) con la sua celebre bacchetta
5 Luglio 2018 alle 16:05

Se oggi le previsioni meteo sono così di moda, all’origine del fenomeno c’è lui, il colonnello Edmondo Bernacca. E a questo proposito, permettetemi un ricordo personale: quando partiva la sigletta un po’ stridula di «Che tempo fa», a casa nostra (come in quella di milioni di italiani) era il segnale che bisognava mettersi a tavola. Ma non prima di aver ascoltato quel signore elegante spiegarci in tre minuti esatti cosa fossero le «isobare» o i «millibar», e che tempo avrebbe fatto.

Così, quando a Sorrisi abbiamo saputo dell’apertura del «Meteo Museo Edmondo Bernacca», ci siamo detti che dovevamo assolutamente visitarlo. Et voilà: eccomi a Fivizzano, ridente borgo della Lunigiana, tra pendii verdeggianti e i picchi delle Alpi Apuane. Mi prende in consegna il sindaco Paolo Grassi e in pochi minuti arriviamo alla casa dove Bernacca passava le vacanze estive. «Vede quel balcone?» racconta il sindaco. «Appena si affacciava a fumare, la gente immancabilmente chiedeva: “Colonnello, che tempo farà?”. Lui rispondeva con gentilezza squisita. E tornava dentro». Pochi passi più in là, ecco l’ingresso del museo. Entriamo: sulle piccole volte rinascimentali del soffitto è proiettato un  cielo cangiante. E così, sotto un tifone tropicale che poi diventa il sole del Sahara, visitiamo la raccolta dei cimeli «bernacchiani». Ci sono strumenti misteriosi come l’«eliofonografo» e il  «barografo aneroide», lo «psicrometro» e il «nefoscopio» (quest’ultimo serve, udite udite, a calcolare da terra la velocità delle nuvole). E soprattutto ci sono le mappe illustrate a mano: sì, perché se oggi il meteo è uno show dove abbondano effetti speciali e animazioni al computer, a Bernacca bastavano una bacchetta di legno e una carta dell’Italia di due metri per due, su cui poi disegnava con un gessetto le zone di alta e bassa pressione; e per segnalare la direzione dei venti appiccicava delle freccette magnetiche.

«A disegnare era bravissimo» ci racconta il figlio Paolo, che ha donato al museo gli oggetti esposti, e che non a caso è diventato un pittore. «Mi ricordo la sua scrivania piena di matite colorate: noi bambini gli chiedevamo di disegnare un cavallo, un gatto, un aereo...». Ma com’era il colonnello nella vita privata? «Papà era un buono mascherato da severo militare. E amava giocare: ricordo ancora il fantastico plastico che mi costruì per i trenini. Poi io sono cresciuto e fingevamo di discutere, lui il “militare” e io “l’artista ribelle”. Era il ’68, ma finiva sempre con una pacca sulla spalla. La popolarità? Ricordo quando la Rai accorciò il programma da tre minuti a due. Ci fu una baraonda di proteste e dopo pochi giorni dovettero rimettere il minuto mancante “a furor di popolo”. Oppure mi viene in mente il coro dei compagni al liceo a ogni appello: “Bernacca Paolo...” e tutti: “Che tempo fa???”».

«Bernacca è diventato una compiacente divinità domestica» scriveva il popolare giornalista Ruggero Orlando su Sorrisi. Eppure il colonnello manteneva l’animo di un artigiano: «Ogni sera» prosegue il figlio «chiedeva a mamma: “Come sono andato?”. E lei, che era severa: “Mah, la cravatta era un po’ storta”». Differenze con gli «eredi»? «A me colpisce questa tendenza moderna a drammatizzare. Sembra tutto terrificante... c’è chi parla addirittura di “meteoterrorismo”. Papà invece era pacato e rassicurante. In verità ci hanno provato anche con lui, ma non si prestava al gioco. Dicevano per esempio: “Colonnello, non si era mai vista una nevicata così! Che sta avvenendo? Come si spiega?”. E lui: “Ma no, guardi che non è così strano. Era già successo nel 1937...”».

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