Abbiamo fatto un esame al grande attore su caffè, mandolini, pizza... Ecco com’è andata
Vincenzo, se le dico «Bello di Salemme» pensa che le stia facendo un complimento spudorato?
«Ahimè, non posso equivocare perché so che è il titolo del ciclo delle mie commedie che sta andando in onda su Rai5. E poi ormai vista l’età che avanza non potrei equivocare più, purtroppo (ride)».
Non si butti giù...
«Diciamo che è un bel titolo: mi fa sentire ancora fresco e giovane!».
Il ciclo si compone di quattro commedie: scritte, interpretate e dirette da lei. Due le abbiamo già viste, le altre devono andare in onda. Ci racconta una curiosità su ognuna? La prima era “...e fuori nevica”.
«È forse quella a cui sono più legato perché è una commedia amatissima dal pubblico ed è quella che mi ha regalato la notorietà».
Poi abbiamo visto “La gente vuole ridere”.
«Era il 1992, io ero sconosciuto e quella fu la mia prima commedia. Per metterla in piedi, con mia moglie Valeria avevamo fatto un mutuo in banca: 80 milioni di lire. Era un sabato e il teatro Cilea di Napoli era zeppo, il primo esaurito della mia vita. Inizia lo spettacolo e dopo appena 20 minuti scoppia il contatore e la sala piomba nell’oscurità. Io ero disperato perché per legge, se non fosse finito il primo tempo avrei dovuto restituire i soldi del biglietto. Ero vestito da pappagallo, vado in scena con la luce di emergenza e dico: “Buonasera io mi chiamo Vincenzo Salemme e ho ipotecato la casa per fare questo spettacolo”. Risate. “No, davvero, se ci fermiamo adesso vi devo restituire i soldi...”. Tutti morivano dal ridere... Ho improvvisato, tra le risate, finché il contatore non venne riparato e lo spettacolo riprese. Ancora oggi quelli che erano in teatro non credono sia stato un incidente».
“Premiata pasticceria Bellavista” sarà la prossima in onda.
«Eravamo in scena al teatro San Babila di Milano, era il 1997 e io intanto preparavo il mio primo film “L’amico del cuore”. Mi chiama Rita Rusic, la produttrice, e mi chiede: “Ti piacerebbe avere Eva Herzigova come protagonista?”. La sera stessa dopo lo spettacolo mi misi in macchina e andai a Cannes dove avrei dovuto incontrare la Herzigova la mattina seguente sulla barca di Vittorio Cecchi Gori. Arrivai alle 3 di notte al porto di Cannes, cercavo la barca e non la trovavo. Dopo un’ora mi accorsi che la barca non la vedevo perché era una specie di traghetto: non avevo idea che potesse esistere uno yacht così grande... La mattina dopo comparve la Herzigova: era uno splendore! Io le arrivavo all’ombelico, lei era spiritosissima, fu un bell’incontro e disse subito di sì».
E l’ultima sarà “Bello di papà”.
«In una scena della commedia io e Antonella Elia dovevamo mangiare il castagnaccio. Un giorno alle prove portò il castagnaccio fatto da lei. Era una specie di suola delle scarpe, immangiabile e io misi questa cosa nello spettacolo, ne uscì una delle scene più divertenti della commedia».
“Napoletano? E famme ‘na pizza” è il suo libro dove scherza con i luoghi comuni sui suoi concittadini. Facciamo un gioco: vediamo se lei è un napoletano doc.
«Sono pronto».
Il caffè va preso nella tazzina bollente.
«Sono contrario all’ustione, ma favorevole alla tazzina calda. E aggiungo che il caffè lo prendo in piedi, al bancone e subito, perché il caffè tiepido è una delle cose peggiori».
Il ragù la domenica.
«Lo so fare, seguendo le regole: impiego dalle sei alle sette ore. Certo, ci vuole un’altra età e un altro fegato per mangiarlo spesso».
Mangiare il capitone alla vigilia di Natale.
«Mi dispiace per il capitone ma... sì, lo mangio. È squisito. E mi piace fritto».
Suonare il mandolino.
«Non lo so suonare, ma lo amo moltissimo».
Saper cantare alla perfezione i classici della canzone partenopea.
«Non sono un cantante ma sono intonato. E sì, li conosco tutti».
Saper raccontare le barzellette...
«Le saprei anche raccontare, ma non me le ricordo...».
Allora non è un napoletano doc.
«Ma Eduardo, Massimo Troisi, Totò... non mi risulta abbiano mai raccontato barzellette (ride)».
È in ottima compagnia allora. Passiamo al prossimo luogo comune: saper nuotare come un pesce.
«Sono nato in un paese, Bacoli, che è una lingua di terra in acqua: ho imparato a nuotare da piccolissimo. In pratica sono fatto di acqua di mare».
Fare il bagno in ogni stagione.
«Da ragazzino la regola era: il lunedì di Pasquetta bisognava fare il primo bagno dei cento della stagione. In pratica si finiva sempre a novembre».
Essere superstiziosi.
«Lo sono stato: il corno, la scala, il sale, lo specchio rotto, il viola a teatro, l’olio versato... ma ora non lo sono più».
Amare la pizza (ma qui siamo tutti napoletani allora).
«È in vetta alla classifica dei miei piatti preferiti, insieme con la mozzarella di bufala».
Essere sempre divertente.
«Perché un napoletano non può essere serio? Non può avere un problema?».
I napoletani li risolvono sempre i problemi.
«Ma non è vero! Non saranno mica bionici questi napoletani... (ride)».